«Ma ti riposi? Dormi bene?» è a pag. 93 delle Classiche domande da mamma, un best-seller degli anni 20, 30 (e a volte 40) della nostra esistenza. E per quanto la risposta sia ovviamente a pag. 1 del volantino 10 risposte per sbarazzarti in fretta dei tuoi genitori, cioè «Da Dio, non puoi capire», è una delle rare volte in cui la domanda può essere ben fondata. “Sonno” è sinonimo di benessere psico-fisico e quando scompare è segno che qualcosa non va. Lo sanno bene le tre coppie di Sleepless. Tre notti insonni, testo di Caryl Churchill (1982) messo in scena da Lorenzo Loris con i due camaleontici attori Elena Callegari e Mario Sala al Teatro OutOff.

Mettiamo subito le mani avanti: non uno dei migliori testi della Churchill, come concorda la critica. Non uno di quelli che aprono finestre su immagini oniriche, apocalittiche, composte da realtà sorprendentemente vicine. Stavolta la drammaturga si ferma prima del sogno, o meglio a quando il sogno è impedito, con i tre quadri che compongono lo spettacolo a raffigurare storie grigie, ansie piccolo-borghesi, egoismi, bugie ridicole e codarde.
Se tuttavia si oltrepassa la coltre di critica al perbenismo degli anni thatcheriani, la messa in scena riesce a illuminare le immagini nascoste fra le pieghe drammaturgiche e ne pone al centro la più potente: le lenzuola stropicciate fra le quali si è persa la chiave del sonno, il bianco confine fra vita e non-vita. Non a caso è il materasso il vero palco di Sleepless.

Una scena di Sleepless di Lorenzo Loris

Un letto matrimoniale tutt’altro che felice ne richiama molti altri, a cominciare da quelli ritratti da Francis Bacon. Con le lenzuola del pittore irlandese, quelle della Churchill hanno molte macchie in comune: entrambe condensano in un’immagine quella crudeltà che, più che venire dai passati dei personaggi (no, la Churchill rifugge il facile dramma familiare), fa parte del loro corredo genetico, nonché del loro presente storico. Un dolore che si raddensa ed emerge per contrasto dal candore dei letti, si incide in segni e graffi fra le pieghe del cotone. Su simili tracce visive insistono Bacon, fra macchie, lividi e frecce, e la messa in scena di Loris, con un sipario confuso con le stesse lenzuola. In questi personaggi non c’è spazio per l’amore , si avvinghiano in morse psico-fisiche destinate all’autodistruzione. Il cerchio si chiude e soffoca l’altro, come mostra il secondo dialogo dello spettacolo, dove alla depressione e al cupio dissolvi di una lei risponde un lui ansioso di svelare le trame dei film visti al cinema. Posta davanti a finali già scritti, la vita stessa si scopre un nastro sempre uguale a se stesso, fatto di corpi intrappolati nell’assenza di riposo.

Francis Bacon, Tre studi di figure su letti (1972)

Senza pace, i letti diventano campi di battaglia, palchi di tragedie prive di catarsi, cornici in cui rinchiudere il male accumulato di giorno. E noi spettatori? Pensiamo di essere salvi? «Gli artisti esagerano sempre»? «Il nostro letto è differente»? Non facciamoci illusioni. In fondo questo dolore non è che il risvolto (per dirla con Byung-Chul Han) di una “società della stanchezza” destinata a vedere il riposo col binocolo. Quel sempre caro materasso (quanti ne abbiamo già cambiati? A molle, memory foam, in lattice, a molle insacchettate, rigido, semirigido…) si rimpicciolisce e diventa addirittura un quadratino di Scarabeo. Con quel quadratino, rimasto per ultimo, non riusciremo mai a comporre la parola “riposo”.

Insomma, un bel casino. Ma se non vogliamo più sentire imbarazzo alla domanda di pag. 93 delle Classiche domande da mamma, forse dobbiamo imparare a portarci il materasso sotto braccio, anche durante il giorno: a scardinare l’immagine del letto come luogo di “riposo dopo la battaglia”. In altre parole, smetterla di percepire quel quadrato bianco come una misera ricompensa e farlo entrare nei nostri bioritmi diurni. È quello che ha provato a fare Paola Pivi con World record (2018), un’installazione ospitata dal MAXXI di Roma, in cui una doppia distesa di materassi crea un nuovo spazio da abitare. Qui il pubblico si ritrova su nuovi letti, rotola e interagisce con altri “abitanti”.

Paola Pivi, World record (2018)

Certo, il ricordo delle lenzuola stropicciate, del groviglio delle nostre ansie, non svanisce a uno schiocco di dita, ma la situazione inconsueta di World record risulta straordinariamente comoda. Viviamo una dimensione inedita, generatrice di nuovi spazi di dialogo, nuove intimità e confessioni, relazioni fuori dalle schiavitù moderne: prospettive del possibile che magari non risolveranno tutti i nostri problemi, ma almeno riposano le menti e rendono le notti un po’ meno insonni. Per capirci, al prossimo «Dormi bene?», invece di riprendere in mano il volantino, potremmo rispondere semplicemente: «Per niente. E tu?»

Riccardo Corcione

Il contributo è parte di derive-sceniche.
La rubrica derive-sceniche intraprende piccoli itinerari comparatistici a partire da spettacoli e performance, fa dialogare la scena con le altre arti e disegna nuove cartografie di senso.

Sleepless Tre notti insonni

di Caryl Churchill
traduzione Paola Bono
con Elena Callegari, Mario Sala
regia Lorenzo Loris
video Davide Pinardi
scena e decorazioni Daniela Gardinazzi
intervento pittorico Giovanni Franzi
costumi Nicoletta Ceccolini
luci e fonica Luigi Chiaromonte
collaborazione ai movimenti Barbara Geiger