Ci scusiamo per disagio
di e con Francesco Rotelli, Francesca Sarteanesi, Giulia Zacchini e Luca Zacchini – compagnia gli Omini
Un depresso arrabbiato con la vita, un filippino orgoglioso di essere l’autista di Dini (sì proprio Lamberto), un pittore sordo che biascica il suo passato, un matto logorroico appassionato di spogliarelli. È questa, e altra ancora, l’umanità bislacca e variopinta che si avvicenda dietro la linea gialla di una stazione, luogo scelto dagli Omini come punto di osservazione e studio di una marginalità quotidiana. Il lavoro, nato da un mese di storie intercettate e interviste alla gente di passaggio o di casa alla stazione di Pistoia, e originariamente rappresentato nei vecchi vagoni dell’Area Deposito Rotabili Storici, approda alla sfida del palco. Sono storie di solitudine ed emarginazione che, per quanto narrate in brevi sketch freschi e vivaci, trovano un loro compimento: i personaggi, privi sulla scena di un passato e di un futuro, sono individui veri, vivi, ben lontani da stereotipi vuoti. I quadri si susseguono rapidi, il ritmo incalzante è scandito da una voce elettronica che esce da un megafono: i consueti annunci della stazione cedono progressivamente il passo a commenti umoristici di quanto accade in scena. “In sostituzione del treno delle 18.40 sarà trasmesso un telefilm a colori” dice la voce per chiosare la narrazione di rocambolesche vicende amorose. A pennellate ironiche (si va dal “Maremma diavola” al “C’ha il culo caldo”) si alternano pillole di una filosofia quotidiana toccante e non scontata: l’annuncio di un treno passato su un altro binario sembra un monito ai personaggi e al pubblico a non lasciarsi sfuggire la vita. Proprio quando la drammaticità dei vissuti narrati sembra saturare la sala, il megafono annuncia un “intervallo catartico”. La partitura evolve ancora per approdare, sul finale, a una dimensione quasi onirica: tre tossici litigano, ballano e si sballano al ritmo di Shocking in my town di Battiato, mentre dalla platea entra in scena un uccello, che si siede, osserva e se ne va. Lo spettacolo si chiude così come si era aperto: uno dei personaggi fischietta il motivo di Il Buono, il Brutto e il Cattivo. Perché la stazione che gli Omini mettono in scena è il far west del nostro immaginario, un luogo in cui prendono forma realtà marginali generalmente guardate solo “con la coda dell’occhio. E questo non è un bene”. La compagnia non tradisce l’obiettivo del proprio fare teatro: Francesco Rotelli, Francesca Sarteanesi, Giulia e Luca Zacchini vogliono essere persone qualunque, Omini appunto, che osservano la vita.
Valentina Provera