È difficile credere che in sole due ore Cristina Rizzo possa trasmettere la sua idea coreutica ai danzatori professionisti recatisi in DanceHaus per partecipare alla sua masterclass. Eppure, un’impronta precisa la coreografa di Ultras Sleeping l’ha certo lasciata. Ma andiamo con ordine. Per prima cosa Rizzo porta i suoi allievi a riflettere sul proprio significato della danza, invitandoli a pensare ai movimenti che ciascuno di loro pratica nel proprio esercizio quotidiano come se venissero eseguiti per la prima volta. Il senso di una masterclass, sembra dire Cristina, è quello di mettere in campo le esperienze dei singoli e ricostruire insieme le pratiche del proprio danzare, quelle che, spesso, si tendono a dimenticare dandole per scontate. Punto di partenza del lavoro è allora la presa di coscienza del proprio peso (parola su cui Rizzo insiste molto), per riscoprire, andando oltre l’abitudine, gli equilibri fondamentali della stasi e del movimento. «In ogni movimento – chiosa la coreografa – è importante sentire tutto il corpo con la distribuzione del suo peso specifico».
Dopo questo primo esercizio individuale, la lezione procede con dei lavori “a due”, in cui inizia a farsi centrale la relazione tra un danzatore e l’altro. Non tanto come interazione diretta, quanto piuttosto come consapevolezza «della presenza di qualcuno che partecipa al mio danzare, anche se con una danza diversa». Ed è in questo frangente che Rizzo introduce un secondo elemento fondamentale: la leggerezza e la mobilità delle articolazioni. Peso e leggerezza, spiega Cristina, sono i due pilastri su cui appoggiarsi per costruire – sempre a partire da pratiche di base – quelle che lei definisce shapes, ovvero disegni di un movimento che si colloca nello spazio e nel tempo. Dopo questi accorgimenti anche la musica può fare finalmente il suo ingresso in classe: sui brani scelti dalla Rizzo i ragazzi costruiscono, lavorando in gruppi (prima “a due” e poi “a tre”) una coreografia minima improvvisata. Alla fine della quale c’è ancora tempo per una chiacchierata conclusiva. Del resto l’andamento dell’intera masterclass è stato improntato sulla continua alternanza tra momenti di esercizio e momenti di riflessione in cui Cristina si siede a terra insieme ai danzatori, in cerchio, per riflettere con loro su impressioni e sentimenti suscitati dal lavoro svolto. Per Rizzo la danza è infatti condivisione, confronto: «il singolo danzatore non crea la danza perché la danza è fuori, non dentro, è qualcosa che è già intorno a noi». Dovere del performer è allora farla sua e condividerla con gli altri. «La danza – conclude Cristina – non è mia, non devo tenerla per me, la devo lasciar andare!».
Simone Muscionico e Daniele Rigamonti
Questo contenuto è parte dell’osservatorio critico MILANoLTREview