«Lazzaro, vieni fuori!».
Il morto uscì, con i piedi e le maniavvolti in bende,
e il volto coperto da un sudario.
Vangelo secondo Giovanni
La chiamano metamorfosi, ma come si risorge concretamente da noi stessi? Risorgere dai conflitti è un miracolo ? La nostra resurrezione è la rinascita?
HopeHunt è un’esplorazione tra movimenti metafisici, iniziatici, selvatici in connessione tra pelle e anima. Un assolo di denuncia sociale, che mette a nudo in tutta la sua vulnerabilità e fragilità il maschio della classe operaia, come estensione di uno strato della società.
La coreografa nordirlandese Oona Doherty, Leone d’Argento alla Biennale di Venezia, artista, danzatrice ed esploratrice dei sobborghi urbani di Belfast, porta in scena realtà e dinamiche sociali. Una ricerca coreografica nata in luoghi periferici che l’hanno ispirata a guardare i corpi con attenzione, traducendo nella sua arte una mascolinità suburbana attraverso uno sguardo di compassione in relazione a un maschile incline a stereotipie nevrotiche/ossessive e riscrivendo la danza come atto politico di liberazione e rinnovamento sociale.
Il pubblico è riunito nella parte esterna del teatro, ma che cosa sta succedendo realmente? Qualcuno è caduto da un bagagliaio di un’auto! Lei è Sati Veyrunes, l’interprete in Hope Hunt and the Ascension into Lazarus, in scena con l’autore e musicista francese Maxime Jerry Fraisse, protagonista del dj set post-spettacolo.
La performance si manifesta come processo aperto e creativo condiviso. Sati interagisce con la folla, tra suoni polizieschi, musiche elettroniche e movimenti che si snodano in un corpo adrenalinico. È un corpo che sa arrivare all’altro con potenza, presenza e sensibilità, capace di sconfinare tra i differenti linguaggi espressivi e destrutturare logiche convenzionali, aprendo spazi di imprevedibilità che disarmano l’osservatore, fino a toccare gli stati emotivi di chi guarda, prima di correre via urlando INSIDEEE! DAI DAI!!!
Allo spazio esterno si contrappone quello interno del teatro: il palcoscenico è ancora vuoto, come la sospensione della partenza creativa. SIT-DOWN SIT-DOWN dice Sati rivolgendosi al pubblico con toni convinti e, solo pochi attimi dopo, è il silenzio a prendere posto mentre lo spettacolo riparte. Azioni danzate, vocalizzi acuti e poi spezzati rimandano a una speranza frantumata tra sconforto e smarrimento. In alternanza non mancherà nemmeno l’esaltazione per l’inno della squadra di calcio Chelsea, gesti che evocano le arti marziali in stile capoeira, gestualità erotiche provocatorie e toni umoristici.
Un braccio si estende al cielo, lo sguardo segue. Sono diverse le azioni che suggeriscono una ricerca tra terreno e spirituale, a tratti timorosa e a tratti con devota connessione al divino oppure ancora come un sincronico parallelismo evangelico? «Gesù, alzati gli occhi al cielo, disse: “Padre, ti ringrazio perché mi hai esaudito. Io sapevo bene che tu mi esaudisci sempre; ma ho detto questo a motivo della folla che mi circonda, affinché credano che tu mi hai mandato”».
Un susseguirsi di variazioni fluide e ripetitive, poi silenzi, musiche impattanti, gesti che rallentano con mani che si auto-esortano alla calma, per poi tornare ad accelerare, energie canalizzate e misteriose muovono Sati verso l’inconoscibile. L’inclusione del multilinguismo spazia tra tedesco, inglese, francese, italiano mentre assistiamo alla destrutturazione di una mascolinità che tenta di sovrastare, con rimandi a memorie di un’indole fatta di violenza e controllo: tra esplosioni irruenti e rabbiose, si aprono finestre parallele capaci di mostrare l’immensa fragilità umana a cui tutti sappiamo di appartenere.
Che cosa sono le classi sociali o le appartenenze culturali quando a emergere è la solidarietà dell’animo umano? È possibile, attraverso la connessione con il divino, sostenere lo sviluppo delle coscienze umane?
HOPE HOPE HOPE grida Sati, con variazioni mantriche in ripetizione. Hope, un’invocazione come necessità e poi il Silenzio. Un canto liturgico suona, in sovrapposizione con registrazioni mixate di voci, litigi, urla, un pianto e una sirena lontana. Tutto sembra risuonare come un abbraccio dolce e aspro insieme. Dal buio alla luce, Sati appare distesa in posizione fetale e libera dalla sua comoda tuta: ora è vestita di bianco e, a suo modo, si rimette in piedi come Lazzaro.
Non è forse la vita che comincia con un entrata? «Lazzaro, vieni fuori!»
Fabiana Sansonna
in copertina: foto di Mona Blanchet
HOPE HUNT & THE ASCENSION INTO LAZARUS + DJ SET
coreografia di Oona Doherty
produzione e diffusione Gabrielle Veyssiere
performer Sati Veyrunes
D/ e car driver Maxime Jerry Fraisse
musiche originali di Maxime Jerry Fraisse
supervisione tecnica Lisa Marie Barry
produzione OD Works Oona Doherty
Sostenuto da Dance Resource Base, Art Coucil of Northern Ireland, The MAC Theatre – Belfast, Cathedral Quarter Arts Festi-val, Bristish Council, Prime Cuts Production
Questo contenuto è esito dell’osservatorio critico dedicato a MILANoLTREview 2024