Bassano del Grappa
27-31 Agosto 2013
Il paradosso dell’eterna giovinezza
La chiusura dell’estate di festival in Veneto è come di consueto affidata a B Motion, finestra sulla danza e sul teatro contemporanei. La programmazione teatrale si interroga quest’anno sul tema “Forever Young”: la condanna a restare sempre giovani, nonostante i dati anagrafici e i risultati ottenuti, è problema ben noto alle compagnie ormai affermate protagoniste del festival, così come la marginalizzazione di chi giovane lo è ancora. Sotto la direzione artistica di Carlo Mangolini le ossessioni e i controsensi dell’eterna giovinezza vengono esorcizzati con l’apertura di uno spazio dedicato alle nuove generazioni teatrali (come è da anni vocazione di B Motion) e con performance che coinvolgono anche ragazzini e adolescenti.
La perdita dell’innocenza e l’avanzare verso una progressiva solitudine segnano un fil rouge che lega gli spettacoli del festival. Uno sguardo ironico e pungente sul rapporto tra l’individuo, il suo quotidiano e l’appartenenza a una società sempre più omologata e indifferente fa così da contraltare all’impossibile immagine di una beata gioventù.
A questo sguardo appartiene uno dei lavori più interessanti degli ultimi giorni di festival. Agoraphobia, dell’olandese Lotte van den Berg, è una performance pensata per le piazze di tutto il mondo, alla quale si assiste ascoltando l’attore (per l’Italia una bravissima Daria Deflorian) attraverso il proprio telefono cellulare. Una donna si aggira per Piazza della Libertà interrogandosi sul proprio senso di solitudine, cercando di scalfire l’indifferenza dei passanti, osservando gli spazi occupati dalle persone in movimento, i dettagli degli edifici che la circondano, le tracce di una realtà che la ossessiona. Il sovrapporsi degli sguardi degli spettatori che riducono progressivamente le distanze e le reazioni disorientate e imprevedibili dei passanti affievoliscono il limite tra realtà e finzione, tra il ruolo di osservatore e di attore partecipe di una condivisa indifferenza. È difficile (ed è un peccato) per chi partecipa consapevole alla performance distaccarsi dal ruolo di spettatore per osservare da lontano l’interazione tra “questa matta” (così viene spesso liquidata) e le persone a cui si rivolge. È solo quando cade il collegamento telefonico e la Deflorian inizia a parlare pubblicamente che si rompe la dimensione intima del testo e al passante che distoglie lo sguardo si sostituisce una piccola comunità in ascolto, che sembra poter dare vita a un nuovo senso di appartenenza.
Un diverso quadro delle ossessioni della società contemporanea è offerto da Fibre Parallele con Lo splendore dei supplizi: uno spettacolo articolato in quattro quadri che raccontano altrettanti “archetipi” del disagio di oggi, quattro forme diverse di un castigo che si consuma non nelle piazze, ma nelle dimensioni private e individuali del vivere quotidiano. La coppia, il giocatore, la badante e il vegano sono le quattro figure elette a simbolo di questo malessere universale, interpretate in scena dai bravi Licia Lanera e Riccardo Spagnulo. La partitura dello spettacolo regge grazie all’efficace ironia del testo (che potrebbe essere leggermente asciugato) e all’energia degli attori, capaci di passare con forza e abilità da un personaggio all’altro.
Francesca Serrazanetti
Cosa vuoi fare da grande?
A B Motion Teatro, come a Santarcangelo, a imporsi sui palchi delle giovani compagnie sono stati bambini e pre-adolescenti. Eppure i tre gruppi che hanno lavorato in questa direzione (Pathosformel, Teatro Sotterraneo, Babilonia Teatri) mostrano sul tema prospettive assai diverse.
In T.E.R.R.Y di Pathosformel l’ingresso in scena dei bambini rompe e altera la situazione pregressa: alcune piante, trasportate da carrelli progettati per spostarsi autonomamente verso una fonte di luce, si muovono sul palco. Le macchine si evitano, si scontrano, si abbattono l’un l’altra alla ricerca del proprio posto al sole, specchio di una competizione in cui possiamo agilmente riconoscere la società; lottano tra loro persino le luci, che si contendono la limitata energia del generatore. In questo paesaggio dove l’umano non esiste – se non nella mente di chi guarda – in questo tempo sospeso che lascia interdetto (quando non scocciato) lo spettatore, ecco d’improvviso l’irrompere della vita, ecco un elemento che sfugge alle maglie del meccanismo tecnologico. Nei corpi che si muovono in penombra – simbolo dell’uomo ancora libero da condizionamenti, immagine non mediata del futuro – pare di intravedere una possibilità: quella di entrare in una relazione nuova e non prevedibile con lo spazio e con gli oggetti.
E sulle sembianze del futuro si concentra anche il progetto Be legend! di Teatro Sotterraneo. “Cosa vuoi fare da grande?”, chiedono gli attori ai bambini protagonisti dei primi due episodi. Le loro risposte non conteranno granché: stasera i due piccoli eroi si chiamano Amleto e Giovanna d’Arco e non possono che rassegnarsi al destino. Ma siamo davvero destinati a qualcosa fin dai nostri primi anni di vita? Ci sono già i segni del futuro nella nostra infanzia? E quando si manifesta il talento, la vocazione di ognuno? Lascia aperti questi e altri interrogativi Be legend! creando giochi leggeri e ironici tra le azioni dei bambini sul palco e il denso immaginario del pubblico sui personaggi chiamati in causa. Certo il rischio è quello del puro divertissement: l’episodio dedicato a Giovanna d’Arco pare aggiungere alla storia solo qualche sketch. Amleto (pensato ad hoc per il Festival Tfaddal e già più rodato) mostra invece una prospettiva interessante sulla notissima vicenda: non ci stupisce troppo se quel bambino solo e iper controllato avrà voglia di far esplodere la quiete del palazzo con la sua proverbiale follia.
C’è poi un altro elemento che vale la pena rilevare: per Pathosformel e Teatro Sotterraneo il rapporto con i piccoli attori viene costruito volta per volta nel luogo in cui lo spettacolo va in scena. Si tratta, dopotutto, di una intelligente declinazione del lavoro sul territorio, preziosa per i festival che cercano di ampliare il pubblico di addetti ai lavori e di rivolgersi alla città. In sala, soprattutto durante Be legend!, si sentono i commenti divertiti di parenti e genitori e gli applausi caldi di chi percepisce l’evento come qualcosa che lo riguarda.
Un lavoro che dura nel tempo è invece quello di Babilonia Teatri con l’undicenne Olga Bercini, già interprete di The rerum natura e ora protagonista di Lolita. Olga è l’esatto contrario di quello che il titolo evoca: non è leziosa, non cerca di sedurre lo spettatore e pare non cadere neanche un attimo nel compiacimento dello stare sul palco. Ed è proprio in questo strano contrasto l’aspetto di maggiore interesse di un lavoro che pare in cerca di una maggiore compiutezza (ma il gruppo lo sta forse ancora mettendo a punto: molti i cambiamenti dal debutto al Napoli Teatro Festival, non ultimo la comparsa in scena di Valeria Raimondi come co-interprete). Il corpo di Olga, nel momento di passaggio tra l’infanzia e l’adolescenza, si offre all’osservazione del pubblico: pattina, canta, si cambia, scrive, balla, si allena. È una Lolita in sottrazione quella che guardiamo muoversi con totale candore: siamo noi spettatori a proiettare su di lei un immaginario ‘sporco’ acquisito attraverso film, notiziari, web.
E ci troviamo costretti a rinunciare ai consueti schemi.
Maddalena Giovannelli