Dopo un momento di buio e silenzio, i danzatori tornano sul palco: indossano dei guanti e trasportano sul capo delle tinozze piene d’acqua. Con movimenti precisi e controllati, che contribuiscono a conferire solennità alla scena, compongono una fila precisa, che percorre tutta la profondità del palco. Ora ciascun danzatore compie lo stesso rituale: posati a terra i recipienti, vi intingono una spugna, che si strizzano poi sulla testa. Un rito di purificazione che è anche  uno degli acmé drammatici del lavoro firmato da Susanna Beltrami, nonché, in un certo senso,  il suo punto di arrivo. In questo momento, infatti, è come se piovesse in testa ai danzatori, e proprio la pioggia è un leitmotiv costante di Ballade, preghiera profana: rappresenta una paura ossessiva, una condizione ineluttabile e temuta proprio perché certa e senza possibilità di scampo. È la pioggia a costringere i danzatori a unirsi in gruppo, ad agire tutti nello stesso modo coalizzandosi, abbandonando i gesti solitari in cui erano impegnati fino a poco prima. E se ora sono i danzatori stessi a versarsi l’acqua sul capo è perché  hanno non solo accettato l’inevitabilità della tempesta, ma anche deciso di anticiparla, di reagire. Insieme. È infatti il gruppo uno dei fulcri coreografici di Ballade:costituisce l’anima dello spettacolo. I tredici danzatori, tutti uomini, danno sfoggia della loro bravura in una performance che alterna costantemente assoli e momenti di gruppo in cui quelli che credevamo movimenti singoli, separati, si ritrovano interconnessi.

Il gruppo di Ballade continua, nonostante le ripetute separazioni e la frustrazione che ne consegue, a cercare una coesione, ricominciando più volte il proprio tentativo verso una possibile unione.  La loro danza è volontà e necessità di comunicazione, una “preghiera profana” per tutti coloro che si riconoscono come estranei, messi all’angolo. I singoli quadri che compongono lo spettacolo Beltrami ricava dalla Notte prima della foresta di Koltes (opera a cui si ispira il lavoro) sono carsicamente percorsi da un messaggio di solidarietà e accettazione, che va oltre la ragione interna della coreografia ad indicare la via per un possibile riscatto all’individualismo odierno. «Solo con te mi sento meno estraneo. – si sente dire da uno dei danzatori – Ti amo, compagno».

Simone Muscionico


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