Tra i molti pregiudizi che allontanano il pubblico dalla danza contemporanea c’è quello per cui i lavori di alcuni coreografi, a causa della loro complessità tecnica, siano rivolti principalmente a un pubblico di professionisti. Le tre coreografie di Noè Soulier proposte al festival MilanOltre sono state l’occasione per interrogarsi di nuovo intorno a questo tema.

Ph. Martin Agryroglo

Quando il pubblico entra in sala trova il sipario già aperto su una scena completamente nuda. Vincent Chaillet, l’ex primo ballerino dell’Opéra di Parigi, entra da una porta di servizio microfonato e, dandoci il benvenuto, ci spiega che cosa accadrà a breve sul palco, calando il pubblico in una situazione più simile alla presentazione di uno studio che a una performance di danza. La prima piéce Le royaume des ombres è un lavoro intorno alla logica compositiva e ai significati della tecnica classica, di cui il danzatore ci presenta i risultati prima di mostrarceli, proprio come si farebbe nella restituzione di una ricerca. Vediamo una sequenza in cui tutti i passi principali del balletto sono stati riordinati in ordine alfabetico: mentre chi conosce la danza vede un vocabolario della tecnica classica incarnata, lo spettatore non professionista si stupisce che a partire da un’idea così inusuale possa prendere froma un risultato così armonico e coerente con l’estetica più conosciuta del balletto. Vediamo, poi, la stessa sequenza performata solo nelle sue transizioni, senza i passi, ma solo nelle connessioni che li legano: lo spettatore professionista riconosce, sorridendo, l’energia preparatoria di un salto o lo slancio che precede un giro che non avverrà mai, ma anche il resto del pubblico percepisce il lavoro sull’illogicità del movimento trovandolo buffo, quasi al limite della risata per alcuni spettatori. 

Ph. Martin Agryroglo

La seconda pièce, Signe blanc è un prosieguo di questo studio che prende in considerazione la pantomima, un linguaggio articolato e codificato di gesti che si riferiscono a parole. Essendo un codice, un sistema di simboli abbastanza antico e pressoché in disuso, è poco conosciuto da professionisti e non. Infatti il danzatore presenta tutti i significati dei movimenti nominandoli mentre li svolge, per darci modo di imparare a leggere questi gesti, spesso molto intuitivi, mentre li osserviamo. Dopo un paio di ripetizioni si inizia a giocare sui collegamenti tra movimenti e parole: il danzatore compie dei gesti mentre pronuncia parole in contraddizione e quando non parla unisce due movimenti, due significati contraddittori insieme sfumandone man mano la dinamica. Alla fine, quando il buio inghiotte l’ultimo movimento ci sembrava di iniziare a vedere un accenno di coreografia…

Ph. Marc Domage

Portait of Frédéric Tavernini vede in scena Frédéric Tavernini, uno dei danzatori contemporanei di più alto livello in un lavoro autobiografico composto col coreografo Noé Souiler, che compare sul palcoscenico per suonare il pianoforte e narrarci un pezzetto della storia di questo artista. Frammentarie, come i ricordi incarnati nella mente e nel corpo, le frasi pronunciate da Souiler vengono interpretate da Tavernini non per come sono, ma secondo le intenzioni e i ricordi del corpo del danzatore nell’interpretare quelle frasi. Mentre Tavernini ripercorre nella sua memoria una parte di una coreografia di Balanchine, Soulier ci parla della sua vita attraverso il significato dei suoi tatuaggi che poco dopo, nel silenzio, l’artista ci mostrerà. Il coreografo, attraverso un testo di Sant’Agostino sul significato e sul significante, ci porta a riflettere sui diversi modi di approcciarsi e leggere questa performance. Si può provare a rintracciare una trama narrativa, con personaggi e azioni; si può provare a concentrarsi sulle tecniche compositive, alla ricerca della struttura e del significato; ma si può anche lasciare il significato come una questione aperta, che si lega al godimento dei significanti come i suoni, i movimenti, le situazioni disegnate dalle luci e dalla relazione del danzatore e dei suoi movimenti nello spazio.

Se da un lato si può godere delle strategie compositive che integrano e interrogano la tecnica classica e, più in generale, il linguaggio e la semiotica performativa, dall’altro lato, in tutti e tre i lavori, si accede a un tipo di percezione simile a quella onirica, in cui i simboli e i significanti affollano la mente dispiegando la loro rete di relazioni. A ricordarci che nel sogno così come, alcune volte, nella danza, anche se i significati possono apparire poco chiari, si può scegliere di farsi guidare dalla bellezza di percorrere un viaggio fino a quel momento sconosciuto.

Shahrzad M.


foto di copertina: Marc Domage

Tre creazioni firmate dal giovane e super creativo Noé Soulier, il percorso fatto insieme a Frédéric Tavernini che lo vede anche impegnato al pianoforte dal vivo in Portrait of Frédéric Tavernini e il dittico nato per Vincent Chaillet primo ballerino dell’Opera de Paris, composto da Le Royaume des Ombres e Signe blanc.

Qui i crediti dei singoli lavori.


Questo contenuto è parte dell’osservatorio critico MILANoLTREview