CompagniaMusellaMazzarelli
di e con Paolo Mazzarelli e Lino Musella
visto al Teatro Menotti di Milano_ 12-22 Aprile 2012

Un importante trader della finanza viene arrestato e decide di denunciare meccanismi e brutture del mondo degli investimenti. La banca gli impedisce di vedere il suo avvocato e lo tiene recluso per evitare fughe di notizie. Unico interlocutore, un giovane ragazzo napoletano di strada: a lui spetterà prendere in mano i fili del destino del detenuto speciale.
A leggere la trama, Crack machine potrebbe sembrare un thriller d’azione da prima serata. Oppure uno spettacolo di impronta civile, studiato per descrivere i crimini del nostro sistema economico e per inchiodare le responsabilità delle banche e la connivenza delle autorità.

Eppure lo spettacolo della compagnia MusellaMazzarelli non è nulla di tutto questo: è un gioiellino teatrale, una piccola chicca di abilità attorale e di intelligenza drammaturgica. I quattro personaggi della vicenda – il trader Geremia Cervello, l’avvocato La Parola, la guardia carceraria Italo Capone e il detenuto Eros – sono evocati da due soli attori. Gli interpreti si muovono con maestria da un cammeo all’altro, mutando la voce e i lineamenti fino quasi a divenire irriconoscibili. Come ben si intende dai nomi, i personaggi hanno tensione universale e gli attori li cesellano in una doppia prospettiva: da un lato riescono a farne emergere il carattere di archetipi, dall’altra li nutrono di sangue e di una credibilità tutta umana. L’avvocato La Parola – ovvero l’intelligenza al servizio del potere – è un inquietante e asettico calcolatore: la sua cortesia insinuante è quella dell’establishment che tende una mano nel momento di debolezza, che induce a venire a patti inaccettabili, che offre una via d’uscita immonda ma comoda, a portata di mano come un bicchiere d’acqua fresca.
La guardia Capone – ovvero la meschinità di chi esercita il potere per interposta persona – è viscido e accomodante, come un qualsiasi funzionario burocrate che si accontenta di portare a casa briciole di autorità e di esercitarla su chi è al di sotto. Eros – ovvero la dignità di chi sta ai margini della società, il coraggio di dare all’altro senza ricompensa – è una irresistibile prova d’attore: scugnizzo napoletano alla Gomorra che mai scivola nello stereotipo, capace di un’umanità sfaccettata e credibile, di una sofferenza celata dentro l’umorismo partenopeo, di un linguaggio che rivela la ragion pratica di chi ha sempre dovuto arrangiarsi.
Infine il protagonista, Geremia Cervello: a lui spetta il ruolo più rischioso, quello delle tirate contro le banche, dei monologhi sulla virtualità del denaro, del j’accuse. Ma non si ha mai la sensazione del dramma didattico: l’attore resta agganciato al suo personaggio, sobrio, sorvegliato, mai retorico.

L’incisività di questo lavoro ben calibrato induce a due riflessioni a margine.
La prima. Si può affrontare un tema complesso, di scottante attualità, dalle forti implicazioni civili senza dover necessariamente argomentare come in una puntata di Report. Il testo allude, ma non spiega, sceglie un dettaglio che sappia rimandare all’insieme: si limita a raccontare una storia. E per questo emoziona, arriva, convince.
La seconda è un insegnamento prezioso per le giovani compagnie che si autoproducono: saper calibrare le forze. I due autori e interpreti si mostrano molto lucidi nel valorizzare i punti forti e nel comprendere i propri limiti: lo spettacolo – che si gioca sul lavoro attorale, su buone intuizioni di contenuto, su una regia semplice e pulita – termina un attimo prima che la storia si stiracchi e che lo spettatore guardi l’orologio. Ci si alza da teatro come quando si riesce a mangiare con equilibrio: né nauseati dal troppo, né affamati dopo una stucchevole cena di nouvelle cousine.

Maddalena Giovannelli