Nelle proprie Memorie il coreografo di pressoché tutto il repertorio tardo-romantico del balletto, Marius Petipa, ricorda quanto proficua sia stata la collaborazione nel proprio salotto con l’amico Pëtr Il’ic Čajkovskij. Al pianoforte Čajkovskij suonava le proprie composizioni per la Bella addormentata nel bosco, mentre seduto sulla poltrona Petipa immaginava e disegnava le coreografie.

Questa stessa storica sinergia tra musica e coreografia, purtroppo, non si è percepita alla prima rappresentazione del 26 giugno scorso della Bella di Nureyev, di ritorno al Teatro alla Scala dopo tanti anni nella versione “in filologico”, firmata da Aleksej Ratmanskij. Fin da subito, la direzione musicale dello spettacolo ha mostrato infatti diversi limiti: e se l’orchestra non è sempre stata in grado di esaltare le sfumature e i colori che la partitura di Čajkovskij esprime, in più di un’occasione la direzione sembrava addirittura osteggiare l’esecuzione stessa dei danzatori con cambi di ritmo repentini – anche all’interno della stessa frase – bruciando finali e chiusure. A qualunque artista (o gruppo di artisti), si sa, può capitare una serata difficile, specialmente se si tratta di “prime”, fortunatamente però il corpo di ballo, nonostante i molti debuttanti, ha saputo risollevare le sorti di una rappresentazione. Ma andiamo con ordine.

Edoardo Caporaletti, Nicola Del Freo, Giocacchino Starace e Marco Agostino (Quattro principi) e Polina Semionova (Aurora)

Rudolf Nureyev ha creato la sua Bella addormentata nel 1966 proprio per la compagnia del Teatro scaligero, designando sé stesso nel ruolo del principe Désiré e Carla Fracci in quello di Aurora. Con questo “balletto dei balletti” intendeva ricreare i fasti dell’antico balletto à grand spectacle della Russia zarina. E proprio in questa direzione vanno, oggi come allora, le scene di Franca Squarciapino, che con pochi cambi stravolgono il palco, virando dal barocco al rococò nell’arco di una pausa. Anche i suoi costumi risultano sfarzosi: ricchi di accessori e decorazioni, ma del tutto funzionali alla danza.

La coreografia è pienamente nello stile del grande danzatore russo: tanti passi in poche note, che portano allo stremo i corpi tra velocità e preziosismi del basso gamba; tra geometrie, incroci e figure ardite, difficoltà e virtuosismi da eseguire sia a destra sia a sinistra. Del resto: «Noi abbiamo due lati!», amava ripetere Rudy.

Virna Toppi, Nicola Del Freo, Alessandra Vassallo, Gaia Andreanò e Caterina Bianchi (pas de cinq)

Il momento che meglio ha espresso lo stile di Nureyev nella serata è stato il pas de cinq dell’atto III (noto musicalmente come “le pietre preziose”) e che ha visto come prima ballerina Virna Toppi e Nicola Del Freo capofila insieme ad Alessandra Vassallo, Gaia Andreanò e Caterina Bianchi. Tanto si è mostrato tecnicamente preciso e puntuale Del Freo in quel minuto di virtuosismi del piccolo (batterie e medi salti), quanto elegante nella coreografia ‘nervosa’, Toppi; sincrone e gemellari invece le tre “gemme”. Ben eseguite sono state anche le variazioni delle Fate nel prologo, tra cui spiccano le prime ballerine Nicoletta Manni (fata principale, con la variazione più nota come “della fata dei lillà”), per la fortissima tecnica e la precisione, e Martina Arduino (fata Candida), per la grazia dei suoi movimenti e la capacità di ‘dirigere’ l’orchestra con i suoi ports de bras.

Martina Arduino (Fata Candida)

E gli uomini? Le coreografie di Nureyev sono note per essere le più ‘paritarie’, perché eguagliano le danze femminili e quelle maschili a ogni gerarchia, dal corpo di ballo al solista, al primo ballerino, persino ai mimi e figuranti. Nell’Ottocento (e fino ancora ai suoi tempi) il balletto dava poco spazio agli uomini, persino al protagonista, lo si può vedere proprio nella ricostruzione di Ratmanskij. Rudy voleva danzare “come una donna”, nel senso di ‘quanto’ una ballerina; voleva dimostrare ciò che sapesse fare, portare, donare al pubblico. E infatti, i Cavalieri delle Fate – di solito dei figuranti – hanno danzato, invece, una parte molto tecnica con grande precisione e sincronia. I quattro Principi da ogni continente non sono stati solo porteurs, ma anche attori e danzatori di scene divertenti, come la prevaricazione del Principe africano (Gioacchino Starace) sul Principe indiano (Nicola Del Freo) e il conseguente astio tra i due. Persino gli invitati del terzo atto con il Re Florestano danzano un minuetto che mescola quasi le danze storiche barocche con la danza ‘robotica’, che da lì a tutti gli anni Settanta si sarebbe diffusa.

Come ci si poteva aspettare, anche il Principe Désiré danza moltissimo. Il ruolo che Nureyev aveva ritagliato e cucito su di sé non poteva che avere una coreografia difficilissima da eseguire con precisione e allo stesso tempo da interpretare con intenzione. Il primo ballerino Timofej Andrijašenko ha un fisico perfetto da danseur noble con la presenza giusta: è stato un bravo esecutore della coreografia, con un lavoro molto curato nel pas de deux dell’atto III, in cui ha dimostrato di essere un ottimo partner, sicuro nelle prese e nella confidenza con la danzatrice. Nel lunghissimo assolo d’adagio del secondo atto ha lasciato trasparire un po’ di stanchezza, ma si può senz’altro dire che Andrijašenko ha avuto un grande debutto con il Désiré di Nureyev.

Polina Semionova e Timofej Andrijašenko nel pas de deux dell’atto III

La sua Aurora è un’energica Polina Semionova, di ritorno alla Scala dopo la Cindarella di Mauro Bigonzetti della stagione 2015/16. Nonostante un’iniziale perplessità nell’immaginare Semionova nel ruolo di Aurora, per la sua fisicità muscolosa e la sua energia brutale, Polina ha saputo stupire. È stata un’Aurora strepitosa sul piano drammaturgico: un po’ giocosa e impertinente nell’atto I, lirica e flebile nell’atto II del sogno, matura e regina nell’atto III. Ed è stata strepitosa anche nella tecnica, solida, precisa ed elegante. Se proprio le si deve trovare un appunto, bisogna cercare nei renversés: a Nureyev piaceva il passo estremo con il petto ‘riversato’ di 90 gradi, cioè rivolto al soffitto e gli occhi (magari!) a guardare il pubblico capovolto. Semionova si è mantenuta più scolastica, forse anche a causa della musica che non aiutava nell’esecuzione della coreografia.

Ci sono, infine, due passi a due che rappresentano importanti cammei in questo balletto: quello del Gatto con gli stivali e quello dell’Uccello azzurro. Federico Fresi (Gatto con gli stivali) e Antonella Albano (Gatta bianca) hanno reso frizzante e divertente il passo a due, tra fusa, litigi, seduzioni e salti e – ovviamente – tanti sauts de chat.

Antonella Albano e Federico Fresi nel passo a due del Gatto con gli Stivali e la Gatta bianca

Claudio Coviello (Uccello azzurro) e Vittoria Valerio (Fiorina) hanno presentato un adagio  splendido assieme. Il pubblico non è stato in generale molto caloroso a questa prima, ma con loro due sono volati al palco alcuni “Bravi!” al termine del cammeo. Colpito da una musica impietosa, Coviello ha eseguito per lo più la variazione in controtempo, gli sono state anche sacrificate la batteria di entrechat-six e la chiusura, ma sono esaltati gli equilibri e le dinamiche di un danzatore che sa prendere la scena e tenerla per sé, emozionando il pubblico. Valerio è un’artista completa di tecnica, linee e cuore. Sa essere sempre sé stessa in ogni ruolo e i ruoli dopo di lei assumono un nuovo immaginario. Ha un’innata delicatezza di stile Ottocento e, infatti, la sua attenzione allo stile, il suo uso della testa e la sua coordinazione tra le posizioni della testa e quelle delle braccia rendono la sua partecipazione preziosa per il Teatro alla Scala.

Vittoria Valerio e Claudio Coviello nel passo a due dell’Uccello azzurro e Fiorina

Ottima la sinergia sul palco del Piermarini e mai sottotono nessun personaggio, tra tutti va menzionata l’iconica fata malvagia Carabosse di Beatrice Carbone. E benché molti dei danzatori non abbiano mai preso parte alle produzioni delle coreografie di Rudy – perché troppo giovani ed entrati nelle file troppo di recente – con questa Bella di Nureyev la compagnia del Teatro alla Scala ha dimostrato di essere in grado di tornare al “suo” repertorio, un repertorio ‘classico’, ma sempre ‘nuovo’ per le sue difficoltà coreografiche.

Domenico Giuseppe Muscianisi


La bella addormentata nel bosco

coreografia e regia di Rudolf Nureyev, ripresa da Florence Clerc
musica di Pëtr Il’ič Čajkovskij
scene e costumi di Franca Squarciapino
direttore d’orchestra Felix Korobov

Foto di Marco Brescia e Rudy Amisano © Teatro alla Scala.

Visto al Teatro alla Scala, prima rappresentazione, mercoledì 26 giugno 2019.