ex-ospedale psichiatrico Paolo Pini_ 7 giugno – 8 giugno 2014
un progetto di Teatro degli Incontri, con la direzione artistica di Gianluigi Gherzi
Verso la creazione di una comunità
di Alessia Calzolari
Due elementi del progetto Fiera Medea, presentato all’ex Paolo Pini all’inizio di Giugno, sembrano richiamare apertamente le radici profonde del teatro greco. Il tema innanzitutto: l’eroina tragica per eccellenza diviene archetipo per raccontare storie di donne migranti e rifugiate.
Ma è anche il contesto stesso a far pensare all’Atene del V secolo: il teatro della rappresentazione è un luogo aperto, influenzato dal mutare della luce del sole e dal passare delle ore. Come accadeva allora, lo spettatore è chiamato a uscire dal tempo frenetico del quotidiano per immergersi in un’altra dimensione; in questo caso in una kermesse di due giorni occupati per 12 ore consecutive da incontri, spettacoli e performance. A tentare la sfida è il Teatro degli Incontri, progetto teatrale che dal 2010 indaga e favorisce l’incontro tra le diverse ‘comunità’ del tessuto cittadino, dai migranti ai senza fissa dimora, dagli adolescenti ai bambini.
La struttura delle due giornate è la stessa: al mattino, così come al pomeriggio, si inizia con un incontro, al quale seguono la visita guidata agli ‘accampamenti di performance’ (monologhi dei 40 attori del Teatro degli Incontri accorpati per nuclei tematici) disseminati per il parco e, infine, la visione dello spettacolo collettivo Le strade di Medea.
Gli incontri toccano temi cari al Teatro degli Incontri: la migrazione e il concetto di straniero, con uno sguardo particolarmente attento al legame con la comunità e al rapporto con il territorio. Di queste (non semplici) questioni si occupa anche lo spettacolo, esito del lavoro non solo teatrale svolto dagli attori con quattro diverse comunità cittadine a partire dalla figura di Medea: un centro per adolescenti, uno per bambini, un complesso di condomini popolari in degrado e un centro per migranti. A queste testimonianze danno voce gli attori, che presentano in forma scenica il risultato dei quattro laboratori. Storie, ricordi, umanità si intrecciano e diventa difficile distinguere una realtà dall’altra, quasi si formasse spontaneamente un poliedrico racconto collettivo. Ed è proprio in questa prospettiva di condivisione che si chiude la performance, mentre il ritmo dei tamburi africani coinvolge in una danza gli abitanti dei condomini Aler e poi anche tutto il pubblico.
Accade così – con la semplicità di una melodia che viene da lontano e che induce al movimento – che un nucleo stratificato di cittadini arrivi a riconoscersi come unica comunità. L’insegnamento dei greci non potrebbe essere più chiaro: il teatro è politico perché appartiene alla polis, e non può che essere espressione di tutti.
Una Medea di furor e incendi
di Maria Teresa Santaguida
A legare Medea all’ex Ospedale Psichiatrico non è solo il furor, la follia che incendia e trascende la ragione.
Le vicende dell’eroina greca – il viaggio, la ricerca del Vello d’oro, l’avvicinamento alla luce del Carro del Sole che chiarisce ma brucia – rievocano gli altrove, gli accecamenti, i rifiuti e le autolesioni che gli ex ospiti di questa struttura hanno vissuto fino all’estremo. Medea, strega vendicatrice, eccentrica e temuta, diventa metaforicamente una di loro.
Partecipando (non solo assistendo) agli “accampamenti” organizzati nel parco, ascoltando le testimonianze dolorose o bizzarre raccontate dagli attori, ci si trova a mescolare le storie e le atmosfere del luogo, e a ripensare alle voci di chi, come Dino Campana e Alda Merini, è stato in grado di trasformare l’esperienza in poesia.
Nei brevi monologhi, messi in scena dagli oltre 40 partecipanti al Teatro degli Incontri, ogni attore si immerge nel mito greco incendiandolo con il proprio presente: Medea è Barbara, e la sua disabilità affrontata con ironia; Medea è una donna incinta che rientra al lavoro e si ritrova declassata; Medea è una donna che sogna un’umanità fatta di pecore nel mondo del Vello d’oro.
I racconti sono accomunati da un linguaggio diretto, da una parola apparentemente incontrollata, nascosta in una zona psichica quasi di allucinazione, ma mai demolitoria o desolata. L’obiettivo di ogni testimonianza, e dell’intero progetto, è del resto la costruzione e l’integrazione: la compagnia, dopo aver lavorato a lungo nelle periferie, approda alla periferia del Pini per restituire un anno di incontri ed esplorazioni.
La chiesa ortodossa eritrea sullo sfondo, la sua madonna circondata dalle scritte in amarico e dalle donne vestite di bianco per la domenica, non potrebbe essere cornice più adeguata alla kermesse: Fiera Medea si insinua nei vuoti della metropoli rubando spazi di incontro, facendosi veicolo di introduzione della diversità, tra avanguardia ed esperimento.