La base fondamentale da cui Richard Siegal costruisce la propria poetica coreografica è, letteralmente, l’organismo. Lo si percepisce chiaramente durante la masterclass che tiene in occasione di MilanOltre per un fortunato manipolo di giovani danzatori: il coreografo americano opera una specie di vivisezione, affinché gli allievi imparino via via ad avere coscienza di sé stessi come di un corpo complesso, formato da organi maggiori e minori, tutti diversi ma fra loro interdipendenti. Così spiega una serie di esercizi focalizzati su singoli arti del corpo: a partire dal semplice contatto di una mano contro suolo, dalla flessione delle falangi e dal tatto di un polpastrello sull’altro, si passa al tastare gli organi interni che compongono il diaframma, allo stendersi a terra irrigidendo o rilassando busto e gambe, fino al ruotare la punta del piede. Di fronte a occhi inesperti, sembra che i danzatori assumano posture animali e si radunino a frotte, mossi da qualche richiamo preverbale: così flettere i muscoli in una certa misura, ponderare la gravità del corpo in un certo modo, ondeggiare il bacino con una certa angolazione, diventano come segni di riconoscimento biologico.
Durante la pausa confessiamo a Giulia, giovane danzatrice, che lo stile degli esercizi sembra avere qualcosa di belluino e di istintuale: «No», ci risponde, «è il contrario: secondo me fa impressione arrivare a tastare il diaframma, lo stomaco o il fegato, proprio perché si tratta di un esercizio che non può essere svolto con superficialità, ma esige riflessione, consapevolezza». Staremo a vedere durante la seconda parte della masterclass, ma veniamo prese in contropiede: quando la lezione ricomincia sembra di trovarsi all’improvviso in un museo robotico, dove i danzatori cercano di tradurre in movimento prima semplici foni e monosillabi e poi bisillabi. Un tentativo per creare forme completamente “altre”: anche dove l’azione risulta meccanica o artefatta, spiega Siegal, non c’è mai esatta corrispondenza fra immagine mentale del suono e immagine reale del movimento. E, in effetti, è impressionante osservare la varietà gestuale con cui i danzatori riescono ad animare la parola “estinto: danze trisillabiche a ritmo ternario tutte ugualmente efficaci . Così la meccanica linguistica di Siegal trova davvero la propria modulazione: in un circuito che, attraverso la piena coscienza di sé stessi come organismo, invera nella danza qualcosa di potenzialmente meccanico, in un’armonica concisione fra mente e corpo.
Agnese di Girolamo e Lucrezia Tavella
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