Le chimere sono, per definizione, mostri mitologici con parti del corpo di animali diversi: rapportati alla nostra contemporanietà, assurgono a simbolo di un’umanità sempre più disgregata, frammentata, incompleta, oramai spesso allergica alla parola “definizione”. Proprio da quest’immagine mitologica trae spunto la 42ª edizione di Pergine Spettacolo Aperto, per attraversare uno dei temi più delicati e sensibili di oggi, l’identità di genere. La cittadina di Pergine Valsugana, a pochi chilometri da Trento, è divenuta così crocevia di spettacoli, performances, installazioni, laboratori e talks dedicati all’indagine e alla riflessione sul significato di identità e di diversità, ma anche sul concetto di confine per uno sguardo allargato alle infinite variabili che contraddistinguono l’essere umano nella sua totalità.
Un’intensità di pensiero e di visioni possibili che si è tradotta in una programmazione varia e articolata con il coinvolgimento di compagnie nazionali e internazionali, dando risalto a lavori distinti, segno di una forte eterogeneità, da sempre una delle prerogrative alla base del festival.
Anche per l’edizione di quest’anno, parte del focus della programmazione è stato dedicato al concetto di genius loci – nell’edizione precedente il concetto di luogo era al centro di alcuni dei lavori proposti, in particolare in Mnemo Lab di Effetto Larsen – per uno sguardo allo spirito dei luoghi come simbolo di radicamento di un’intera collettività. Via San Pietro 4 di Circolo Bergman ha offerto così la possibilità agli spettatori, mediante un’audio-guida partecipata, di attraversare le due città, Pergine e l’ex Ospedale Psichiatrico, che per quasi un secolo hanno vissuto l’una accanto all’altra, ciascuna traendo vitalità dal respiro dell’altra. Una performance site-specific capace di offrire una riflessione intima e collettiva sulle barriere – le mura ben visibili di un tempo – e su quei labili confini protetti da un vetro in cui potersi vedere riflessi, unico elemento di separazione dalla Rems (Residenza per l’esecuzione di misure di sicurezza).
Sulla scia di quanto proposto da Circolo Bergman, il festival ha accolto numerose proposte per sviluppare un pensiero critico attorno a stereotipi e luoghi comuni, come nel caso del premiatissimo Geppetto e Geppetto di Tindaro Granata, vincitore del Premio Ubu 2016, in grado di proporre una riflessione attorno al delicato tema della paternità per una coppia di fatto. Anche Odiare Medea, studio teatrale di Giuliana Musso, ha permesso di guardare, traendo spunto dal romanzo di Christa Wolf, a una Medea diversa, collocata nell’opposizione fra patriarcato e società matrifocali. Variabili Umane della compagnia Atopos, spettacolo insignito del Premio Dante Cappelletti 2010 alle Arti Sceniche, ha invece creato una partitura scenica giocata sull’ambiguità e sulla continua trasformazione della natura dell’essere umano, traducendolo in uno spettacolo di varietà ironico, contraddistinto da un desiderio di rivalsa per la creazione di un insieme di “variabili umane”. Protagoniste della scena perginese anche le Nina’s Drag Queens con Dragpennyopera, “un ritratto a colori della nostra nera umanità” ideato, a partire da The Bigger’s Opera di John Gay, per sgretolare uno schema precostituito, dando forma a un linguaggio nuovo mediante un pastiche di brani cantati in playback, parodie e citazioni. E se il concetto di confine si è spesso tradotto nell’elemento alla base delle proposte sceniche del Festival, Isola e Sogna, concerto documentario proposto da Ateliersi, ne ha rappresentato le sfumature più profonde, per un lavoro interamente dedicato a Giusi Nicolini, sindaco di Lampedusa, insignita del Premio Unesco per la Pace. La figura della donna è divenuta così l’emblema di chi vive e gestisce quotidianamente una situazione di emergenza cercando di agire secondo i valori di umanità, di ospitalità e di solidarietà, in una terra considerata di confine.
All’interno della programmazione del festival non sono mancate le proposte interattive, sotto forma di performances e installazioni, rivolte a una partecipazione attiva del pubblico, individuale o collettiva, che hanno affrontato in vario modo i temi legati all’identità di genere. Moon Trip del Collettivo Codice Rosso ha creato un curioso attraversamento nei cicli vitali della vita della donna assegnando a ciascun ciclo una stagione diversa – primavera, estate, autunno, inverno – e riproducendo le stagioni all’interno di suggestivi micromondi, aperti alla visita del pubblico. In Wordless di Mona Mohagheghi, gli spettatori sono stati invitati a scucire le parole dell’abito della performer: “preconcetti” e “stereotipi” sono state solo alcune delle catene di lettere strappate, scritte per essere definitivamente eliminate. iD del gruppo di ricerca Dynamis ha invece proposto una performance per uno spettatore, una sorta di intervista doppia a due rivolta allo spettatore e a Penelope, un individuo transgender parte del gruppo artistico Dynamis. Le domande, rivolte a entrambi, l’uno di fronte all’altro, hanno posto lo spettatore in uno strenuo faccia a faccia con le proprie convinzioni, per una messa in discussione dei suoi principi precostituiti. Diversa l’operazione compiuta dal gruppo internazionale BeAnotherLab che ha dato la possibilità con Body Swap di indossare letteralmente il corpo di un’altra persona, mediante un dispositivo di personificazione. Realtà virtuale, telepresenza, immagini controllate dai due operatori presenti durante l’esperienza performativa hanno così permesso di esperire il mondo attraverso gli occhi di un’altra persona. Una vera e propria “macchina per diventare un altro”, così come è stata definita l’operazione artistica dal quotidiano francese Le Monde, in grado di trasformare la visione nell’atto di esperire il corpo dell’altro.
I generi – maschile e femminile – sono stati inoltre lo spunto per Male-Female. Un gioco di ruolo per maschi e femmine del regista e attore croato Boris Bakal e della sua compagnia Bacači Sjenki. Uomini e donne, divisi in due gruppi distinti, hanno preso parte a due spettacoli differenti: le donne sono state coinvolte in una lunga dissertazione – con dinamiche simili a certi noti salotti televisivi – su amore e tradimento, per sfociare nel tentativo di riconsiderare il ruolo dell’uomo spesso “schiacciato dal senso di responsabilità”. Provocazioni e riflessioni che sono restate tuttavia avvolte da molti preconcetti, restituendo al pubblico un’immagine non del tutto chiara dell’intenzione alla base della proposta scenica. Le installazioni Regenerators di Federica Chiusole, ME|ƎT di Tobia Zambotti, Spazio per corpi in attesa di trasformazione di Clara Luiselli e Diaro Blu(e) di Titta Cosetta Raccagni hanno invece offerto la possibilità allo spettatore di partecipare liberamente, restitutendo in vario modo il concetto di liminalità, di trasformazione e di mutamento.
Pergine Spettacolo Aperto ha inoltre ospitato, durante le giornate del festival, il Seminario Internazionale su Lavoro e Felicità, prima tappa del progetto europeo A Manual on Work and Happiness, nato dalla collaborazione tra l’associazione culturale Artemrede (Portogallo), le municipalità di Alcobaça e Montijo (Portogallo), il festival Pergine Spettacolo Aperto (Italia), il Teatro Muncipale di Patrasso (Grecia) e L’arboreto-Teatro Dimora di Mondaino (Italia). Il progetto, della durata di due anni, con la direzione artistica della compagnia mala voadora insieme al drammaturgo catalano Pablo Gisbert, intende originare una riflessione aperta attorno ai concetti di felicità, lavoro, ozio e creatività. Vari interlocutori – esperti, ricercatori, artisti e il pubblico – hanno così proposto le loro visioni e riflessioni attraverso varie iniziative tra cui la proposta di una conferenza-spettacolo, una tavola rotonda, la proiezione di un film documentario e alcuni laboratori. E, a proposito di orizzonti per il futuro, il festival ha offerto la possibilità di partecipare a due workshop, Identità “in” genere, a cura di Marcela Serli della Compagnia Atopos, lavoro dedicato a una pratica corporale dedicata alla ricerca sul sé e Social media storytelling, tenuto da Simone Pacini, laboratorio dedicato alla social media content strategy applicata alle arti performative.
Le chimere di Pergine Spettacolo Aperto si sono così tradotte simbolicamente negli strumenti tramite cui dare ascolto e visibilità a temi nodosi, difficili, di non facile inquadratura, affrontandoli con modalità e pratiche spettacolari distinte, unite dal desiderio di indagare l’essere umano in tutte le sue sfaccettature, spesso oltre la questione dell’identità di genere. Una scelta coraggiosa che ha scrutato dentro a un tema magmatico, portando alla luce l’irriducibile desiderio di non fermarsi a pregiudizi o idee preconcette ma tendere un po’ al di là, dove il pensiero può trovare il tempo della riflessione e della visione critica. Quando un festival riesce a offrire visioni inaspettate o riesce a mettere in dubbio pareri inoppugnabili, si può dire che ha espletato almeno uno dei più grandi compiti dell’arte.
Carmen Pedullà