“A sette anni, fui molto vicino alla morte. Stavo per finire dissanguato. Ero andato a prendere dalla cantina per mia madre una bottiglia, scivolai sul ghiaccio, la bottiglia si ruppe e mi tagliai le vene. Allora ho visto la nostra casa, ma non con i miei occhi; la vidi come da lontano, come se fossi fuori da me stesso. Non ero triste. Ho solo pensato: vedo la casa per l’ultima volta. Sino ad oggi sono convinto d’essere diventato scrittore grazie a quell’incidente. Il punto di vista principale dei miei testi infatti è quello di chi si trova al limite tra la vita e la morte”: così dichiara in una recente intervista lo scrittore norvegese Jon Fosse (nato nel 1959), in odore di Nobel, autore teatrale tanto noto ed apprezzato da essere indicato come il nuovo Ibsen.

La novella Lei è Ales (2004, una settantina di pagine a stampa) esemplifica il punto di vista privilegiato e ricorrente dell’autore: una donna anziana contempla se stessa da giovane e ripercorre, nell’affastellarsi dei ricordi, la vicenda che l’ha traumatizzata: la morte accidentale di suo marito Asle, avvenuta in mare ventitré anni prima. Signe, questo è il nome della donna, assiste al dramma del confronto agonistico tra i due personaggi della coppia, ricostruendone i dialoghi; ma intervendo altresì nella rappresentazione col porsi interrogativi rispetto al loro agire ed inserendo i propri pensieri nel flusso dei ricordi. Si pone, insomma, nella posizione della spettatrice, pur essendo la protagonista del dramma. I piani temporali si intrecciano nell’unico filo narrativo: il presente del ricordo, quello dei dialoghi tra Signe ed Asle prima dell’incidente, quindi il passato remoto di una vicenda familiare che per analogia viene fuori dalla memoria di Signe. Proprio in questo passato remoto si colloca la donna, Ales, che dà il titolo alla novella e alla pièce.

Da questo testo introspettivo, basato sui rispecchiamenti, i giochi di memoria, il sovrapporsi di identità, la giovane autrice ed attrice Maria Sand ha saputo ricavare una riduzione teatrale. La regia, del toscano Gianluca Iumiento, da anni attivo in Norvegia, sfrutta il valore simbolico del paesaggio della novella: paesaggio che ovviamente nello spazio ristretto del palcoscenico non si può ricostruire, quindi si riduce a quattro insegne al neon che indicano la casa, il cielo, il fiordo, la montagna (termini lasciati in norvegese anche nell’edizione italiana). I ricordi della protagonista si concretizzano scenicamente nella tavola di un nudo albero geneaologico, esposta dietro la linea dell’azione: sotto ogni figura maschile e femminile lo schema riporta i nomi dei personaggi della saga familiare, che giocano nelle assonanze tra loro in un rispecchiamento voluto dall’autore (Asle/Ales ad esempio), ma che per il pubblico di teatro (ed italiano soprattutto) nondimeno risulta straniante.

Il tema del monologo interiore consiste nella difficoltà di comunicare i propri sentimenti in un rapporto d’amore: la barca a remi che Asle usa ogni giorno per allontanarsi in mare rappresenta un’ossessione ed insieme un’oasi di individuale libertà necessaria per evadere dal claustrofobico microcosmo di coppia, isolato da qualsiasi contesto sociale ed urbano. Il naufragio pare l’unico possibile esito per uscire fuori da questa situazione di amore inespresso o di cui non si vuole riconoscere la fine; mentre la posizione di inutile attesa, in cui Signe trascorre il resto della propria esistenza, ripete nei ricorsi della storia l’attesa in cui visse Ales nella stessa casa, tre generazioni prima, dopo aver perso suo figlio di sette anni affogato in mare. La donna scopre di non aver saputo dare spazio alla vita degli altri, nemmeno dell’uomo che amava,  nella propria.

Si tratta di un dramma di famiglia, di amore perduto, di incomunicabilità. Perciò l’ambientazione, tipica dello scrittore, non suggerisce fantasie idilliche, ma la nudità spaventosa dell’assoluta ed incolmabile solitudine. In questo le limitazioni imposte dall’adattamento teatrale risultano indovinate: la casa ‘incrollabile’ in scena diventa un parodico e fragile scheletro di cartone; il cammino fatale, che il marito di Signe ha percorso per andare a prendere la sua barca in una tempestosa sera d’autunno, diventa un tapis-roulant che gira su se stesso. Non c’è nemmeno la finestra da cui Signe si affaccia in attesa del marito che non tornerà; né ovviamente il fiordo, il mare, oppure la simulazione dei loro rumori, il vento della tempesta.

Resta il vuoto, quel buio vuoto che in teatro esprime l’assenza e lo spaesamento in cui la protagonista si interroga, ascoltando l’eco dei suoi stessi pensieri, rinviata da un altrove indefinito: domande che non trovano risposta. Il vuoto oscuro rappresenta anche il mistero della morte, che tutti ci avvolge –  vuoto che strangola sinanco le cose illusoriamente solide, come la casa, e la natura, le une e l’altra spettatrici mute delle vicende monotone delle figurine umane, che si giocano la scommessa dell’esistenza nei loro minimi rapporti affettivi e familiari. Interrogativi da tragedia greca, e non a caso Fosse si è misurato anche con la riscrittura della tragedia per antonomasia, quella di Edipo e di sua figlia Antigone, colei che vive sempre al limite tra la vita e la morte, in un intreccio caotico di legami incestuosi.

Questo non facile adattamento teatrale può dirsi sicuramente riuscito, seppure con qualche esitazione nella prova attoriale di Gianluca Iumiento e di Maria Sand (splendida, invece, Daniela Giordano, di una placidità e sicurezza straordinaria). Resta il dubbio se la tendenza sempre più diffusa di adattare al teatro un testo di prosa, talora anche romanzi ben più ponderosi ed epici che non l’essenziale, anche stilisticamente, novella di Fosse, non riveli, in fin dei conti, una crisi della scrittura teatrale: che è ovviamente scrittura di dialogo e di mimesi, nella quale non ci dovrebbe essere bisogno, come in questa pièce, che gli attori didascalicamente dicano ‘flashback’ per evitare che lo spettatore resti senza scampo nelle trame del flusso di coscienza del testo.

Sotera Fornaro

Lei è Ales
di Jon Fosse
adattamento di Maria Sand
regia di Gianluca Iumeniento