Da dove nasce il tuo nuovo spettacolo Labile Pangea?
Circa cinque anni fa in Italia si sono susseguiti diversi eventi climatici disastrosi: terremoti e trombe d’aria terribili che mi hanno lasciato molto scosso, inducendomi a questa riflessione. Nonostante l’uomo sia cosciente che il suo tempo sulla terra sia limitato, riesce lo stesso a percepire un senso di eternità, un’eternità data da abitudini intramontabili e dalle grandi opere d’arte che lo circondano, resistendo nel tempo. Questa percezione però spesso viene spazzata via da alcuni eventi traumatici e allora ci accorgiamo di essere appesi al filo di una fragilissima ‘continuità’, materiale ed emotiva. Da questo ragionamento è scaturito Labile Pangea. Labile cioè fragile e Pangea, ossia l’insieme delle terre emerse, che mai si pensa possano essere percorse da forze in grado di incrinarle e disgregarle. Ho voluto mettere in scena questa suggestione molto forte: un contrasto fra forza e illogicità, tradotti in una qualità di movimento non logico, associato a immagini di tenerezza.

Dove ti sei formato e che cosa credi sia stato determinante nel tuo processo di formazione di danzatore?
Non ho mai frequentato un’accademia vera e propria, ma ho iniziato frequentando i corsi di danza che teneva mia madre! Da quel momento ho capito che volevo dedicare la mia vita alla danza. Durante la mia formazione ho girato tanto: ho frequentato molti maestri e molti corsi e se dovessi indicare un elemento determinante è proprio questo, perché solo muovendosi e seguendo ciò che più ci affascina, possiamo scoprire novità e crescere. Ora studio ancora tantissimo e non voglio smettere. Studiare rimane una parte fondamentale del mio percorso: tutte le mattine vado in sala, mi muovo, poi penso e scrivo ciò che ho fatto. Solo così posso continuare a crescere e a scoprire nuovi lati nascosti di quest’arte. Resto sempre e costantemente in rapporto con la danza, non solo direttamente con la coreografia!

Che cosa è importante che imparino i ragazzi durante le tue lezioni?
Spesso gli allievi che incontro provengono dalle accademie e quindi hanno una buona tecnica e un’ottima capacità di apprendere le coreografie. Sono cose importantissime. Io però voglio far scoprire loro altro. I miei esercizi si basano sull’improvvisazione e sulla capacità di essere consapevoli dei movimenti. Non è facile per questi ragazzi rompere gli schemi in cui sono stati sempre imbrigliati. Questi esercizi infatti li faccio fare spesso anche ai bambini, perché non si tratta più di danza a partire dalla tecnica, ma di danza creativa. Non c’è nessuna differenza fra questa e la danza contemporanea, perché se non c’è ricerca creativa non c’è nulla.

Laura Cassinelli


Questo contenuto è parte dell’osservatorio critico MilanOltreView