Una donna in scena, seduta sulla sinistra del palco; le fa da contrappeso, al lato opposto, un microfono su un’asta vintage. Nel mezzo incombe, sospeso a mezz’aria, un gesso vuoto, la carcassa bianca di un corpo che non c’è. 
Il torso decapitato gioca con la sua stessa ombra, sotto la luce al neon, a forma di balena, dello Spazio HUG: rappresenta un doppio amputato della stessa protagonista, un passato che non c’è più ma che continua a far parte di lei. È andata così è sia il titolo che una predisposizione drammaturgica: il testo agisce infatti come un riassunto movimentato della storia personale di Martina De Santis, autrice e interprete, e dei sui turbolenti avvenimenti biografici.

Sulle note di Wild is the Wind di Nina Simone, Martina racconta dei suoi vagabondaggi in bici per Milano sotto il cielo grigio di novembre. In un giorno non meno annuvolato, distratta dal fascino dei palazzi, perde l’equilibrio. Il suo volo è descritto un frame alla volta. La caduta, per chi come lei lavora con il proprio corpo, è una catastrofe totale. Eppure diventa occasione di riposo, di meditazione e soprattutto di lettura. Lo spettacolo pone infatti al suo centro un piccolo romanzo – È stato così di Natalia Ginzburg – con cui dialoga e si intreccia. La lettura diventa il tempo zero attorno cui ruotano le vicende, saltando temporalmente da un “prima” a un “dopo Ginzburg”.

L’autrice-attrice ci guida così nelle trame della sua personale “apocalisse”, una di quelle apocalissi che, come ribadisce più volte, affrontiamo tutti almeno una volta nella vita: la rottura con il fidanzato. La vicenda della protagonista del romanzo coincide con quella di Martina, è una rottura traumatica, ma non più fisica, che scatena un fantasioso desiderio di vendetta omicida. In entrambi i casi le protagoniste sono gettate in un vortice di disperazione e abbandono, che impedisce ogni altro pensiero. La narrazione diventa così un modo per sfogare ed elaborare il dolore assumendo a tratti la forma di una conversazione amicale con il pubblico: un saliscendi di intensità, con alti e bassi di efficacia, che acquisisce sicurezza quando si appoggia all’opera di Ginzburg. Uno degli estratti letti al microfono risulta emblematico: «Quando scrissi È stato così mi sentivo infelice […] scrissi questo racconto per essere un po’ meno infelice. Sbagliavo. Non dobbiamo mai cercare nello scrivere una consolazione». Le parole di Natalia Ginzburg diventano quelle di Martina, le diverse vicende del libro si intrecciano a quelle della vita vera, ed ecco finalmente l’unica soluzione: «Riuscire a scrivere a malgrado della mia infelicità».

La chiave per superare l’apocalisse consiste nel cercare di pensare ad altro, di liberarsi di quegli oggetti che dopo un dolore (fisico o sentimentale che sia) si tingono di un potere magico e simbolico e impediscono di andare oltre. Un libro non è più solo un insieme di pagine ma è dedica, frasi, ricordi, così come un paio di mutande non è solo stoffa ma il ricordo di un primo appuntamento. Come Orlando ricerca i pensieri dimenticati sulla luna, ecco che esiste una “stanza degli oggetti parlanti”: così l’autrice ci descrive un luogo dove abbandonare questi simboli, testimonianze tangibili di un dolore.

Sul finale, un incontro inaspettato risolve l’impasse emotivo. Correndo in bicicletta, Martina riconosce per strada Gad Lerner, con un cappello a tesa larga. Basta questo per un nuovo pensiero che torna a pulire la mente: «ma è sempre vestito di bianco?». È la prima di tante immagini, sempre più libere, lontane dalla nebbia di infelicità che aveva oscurato le giornate a partire quel fatidico evento. 

Abbandonati alla speranza che un singolo accadimento, al di fuori di noi, possa cambiare le carte in gioco e farci dimenticare per un attimo la nostra tristezza, le luci calano sul gesso sospeso e immobile: ognuno può tornare alle proprie personali apocalissi.

Francesca Rigato, Riccardo Francesco Serra


È ANDATA COSÌ
un progetto di e con Martina De Santis
liberamente ispirato a È stato così di Natalia Ginzburg
drammaturgia Martina De Santis
spazio Martina De Santis, Paola Tintinelli, Elisabetta Viganò
luci Paola Tintinelli
suggestioni musicali Martina De Santis
consulenza ai costumi Paola Bedoni
consulenza artistica Paola Tintinelli
graphic designer Carlotta Origoni
Martina De Santis ringrazia per il sostegno e la cura
Sementerie Artistiche / Buster / Ramaya Productions / ExAlge
e
Carlotta Origoni / Walter Leonardi / Elisa Bottiglieri / Paola Tintinelli / Luisa Bigiarini / Marta Ceresoli / Federico Frascherelli / Alessia Gennari / Paola Bedoni / Elisabetta Viganò / Grazia Cavanna / Tommaso Pitta / Elisabeth Boeke

Contenuto scritto nell’ambito dell’osservatorio critico di FringeMI 2022