di Renato Sarti
con Renato Sarti e Elio de Capitani
visto al Teatro dell’Elfo di Milano _ 26 Novembre 2012

Inizia con il libro di Giacomo Scotti alla mano – Goli Otok, italiani nel gulag di Tito (Trieste, edizioni Lint, 1991) – lo spettacolo scritto da Renato Sarti in scena con Elio de Capitani, presentato al Teatro dell’Elfo. Goli Otok, Isola della libertà è un testo teatrale costruito a partire dalle lunghe chiacchierate tra Sarti stesso e Aldo, un anziano nato a Fiume e sopravvissuto al campo di internamento titoista in cui è stato rinchiuso nel secondo dopoguerra. Seguendo quel filone a metà tra lavoro di indagine, denuncia, documentazione e forma di confidenza scenica che prende avvio dall’ormai applauditissimo Mai morti e arriva fino al più recente Muri, il nuovo lavoro di Sarti – già presentato in anteprima lo scorso luglio nell’ambito di Mittelfest a Cividale del Friuli – sta nel suo più personale e rodato stile.

Le confessioni di Aldo – uno straordinario Elio de Capitani – sono restituite in una drammaturgia impostata su un dialogo tra l’anziano uomo, ora residente in Italia, e un medico di origine croata, interpretato dallo stesso Sarti,  che ascolta con domande incalzanti e attenta impazienza un racconto doloroso e potente, arricchito da riferimenti letterari, passaggi poetici e battute ironiche che rivelano lo spessore umano di Aldo.

Arrestato negli anni dell’università in quanto traditore avverso alla politica di Tito, dopo 6 mesi in carcere viene portato a Goli Otok nella stiva di una nave. Qui passerà diversi anni, costretto ai lavori forzati e a condizioni di vita impietose tra freddo, fame, sete, malattia e una progressiva perdita della dignità umana. Il racconto non si ferma al periodo di reclusione ma prosegue fino agli anni successivi e a quelli più recenti, in cui il fantasma di Goli Otok continua a convivere con Aldo, perseguitato dal terrore di essere riconosciuto, denunciato, di poter mettere a rischio l’incolumità dei suoi cari in una vita ricostruita ma irrimediabilmente legata al passato.

Gli ex-internati sono stati costretti, prima della liberazione, a firmare una dichiarazione in cui giuravano che non avrebbero mai fatto cenno alla loro storia e all’esistenza del campo di Goli Otok. Dagli archivi ogni documento personale è sparito e ogni testimonianza cancellata. Forse per questo è un frammento di storia tuttora troppo poco conosciuto, su cui regna l’omertà e per cui nessuno, dai singoli alle istituzioni, ha mai ammesso colpe né chiesto scusa. Il racconto arriva così fino agli anni recenti, in cui l’isola diventa luogo di vacanze, visite turistiche, spiaggia per nudisti, “isola della libertà”.

Sarti e De Capitani si presentano con il copione in mano, come a sottolineare che si tratta di una lettura scenica; eppure De Capitani racconta la discesca all’inferno di Aldo con gli occhi persi nel vuoto – rarissimi gli sguardi al testo – come potesse vedere le immagini di Goli Otok. Uno spettacolo tout court, dunque, che riempie la scena senza perdere l’attenzione del pubblico neanche per un momento: il testo è perfettamente sostenuto dalla sua scrittura asciutta, dalla forza delle testimonianze e dall’interpretazione degli attori. La catarsi arriva alla fine, con un applauso liberatorio e denso di gratitudine.

Francesca Serrazanetti