Au Bord, messo in scena da Valentino Villa e interpretato dall’attrice italiana Monica Piseddu, è una potente opera sulla violenza. Il tutto parte da una foto infelicemente celebre, pubblicata nel 2004 dal Washington Post e raffigurante una militare americana che tiene al guinzaglio un prigioniero delle carceri di Abu Ghiraib, in Iraq. Nella drammaturgia, la protagonista inizia a riflettere in maniera quasi ossessiva su cosa vuol dire per lei essere donna, essere figlia ed essere amante. Lo spettacolo chiede al pubblico di confrontarsi con la violenza, spingendolo a riflettere su cosa voglia dire essere umani. Cosa succederebbe se per evitare conflitti e nuove violenze ogni nazione si chiudesse in se stessa?
La crescente paura per il terrorismo e per tutto ciò che è “diverso” raggiunge dimensioni tali da convertirsi in paranoia. Gli Stati Uniti in primis decidono di chiudere in maniera ermetica le proprie frontiere al fine di eliminare qualsiasi minaccia straniera, trasformandosi in una zona off-limits per tutti coloro che non possiedono un passaporto precedente al 2001. La comunità internazionale si trova a dover riorganizzare gli equilibri commerciali globali, ma la paranoia dilaga ed ogni nazione, chi prima e chi poi, decide di seguire l’esempio statunitense e rendersi il più indipendente possibile dagli altri paesi. Il risultato è un ritorno allo stato di natura, in cui i mercati globali scompaiono e c’è carestia di beni di prima necessità. I piccoli stati si trovano isolati e incapaci di produrre ciò che prima importavano, cadendo nel caos.
Le grandi industrie non delocalizzano più gli stabilimenti in zone più svantaggiate, dove i governi possono finalmente concentrarsi sull’economia interna, liberi da pressioni estere. Potendo solamente produrre all’interno delle frontiere nazionali, le aziende chimiche non scaricano più i loro rifiuti tossici nei mari e nei fiumi, allentando la loro morsa distruttrice contro l’ambiente. Nonostante le difficoltà di vivere in un mondo non più globalizzato, la società si trova confrontata direttamente con le conseguenze del consumo maniacale che ha esercitato negli ultimi decenni. Il pianeta riesce finalmente a riprendersi i suoi spazi. Senza più sfruttamento da parte dalle grandi potenze occidentali, l’economia locale e sostenibile rifiorisce.
Con l’allentarsi del dominio europeo e statunitense, l’economia globale riesce a trovare un equilibrio. La morale occidentale non viene più imposta come unica dottrina a livello mondiale, e le agenzie non governative non sono più pressate delle agende dei vari leader, libere finalmente di portare avanti con successo i loro obiettivi. Il raggiungimento dell’uguaglianza per tutti e uno stile di vita etico e sostenibile sono ancora lontani, ma molto più vicini di ieri.
Alida Savio
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