16 – 22 dicembre 2019_Milano

1. Maryam del Teatro delle Albe al Teatro Oscar

«La mamma è sempre la mamma», recita il proverbio partenopeo. È lei che chiamiamo per la ricetta segreta, è a lei che chiediamo l’ultima cura per il raffreddore che non vuole lasciarci, è con lei che torniamo periodicamente a sfogarci, quasi fosse il nostro call center h24. E se ci mettiamo anche il clima dicembrino di natività, le preghiere recitate da Ermanna Montanari e dirette da Marco Martinelli cascano a fagiolo. Ma il vero pregio di questa Maryam è che non ha proprio niente di campanilista, anzi: il testo dello scrittore Luca Doninelli si ispira al culto mariano nella tradizione musulmana, riscoprendone la straordinaria ricchezza. Il teatro delle albe, in fondo, dipinge (sulle musiche del compositore Luigi Ceccarelli) una madre universale e tuttavia viva, presente, nel cui volto si ritrova quello delle madri di tutto il mondo. Se soltanto ci ricordassimo di ascoltarle, ogni tanto…

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2. Il giardino dei ciliegi di Alessandro Serra a Triennale Teatro

Alessandro Serra sembra averci fatto il callo ai classici. Dopo il Macbeth di Shakespeare e Il costruttore Solness di Ibsen, ora è la volta del Giardino dei ciliegi di Čechov. È lo stesso regista, in un’intervista recente, a dichiarare la capacità del testo čechoviano di far emergere lo straordinario dall’ordinario – e dunque, aggiungiamo noi, di sposarsi alla perfezione con il suo teatro. Non dimentichiamo infatti che i maestri di Serra si chiamano Grotowski e Mejerchol’d e che, per approdare alle grandi parole, lui e la sua compagnia Teatropersona hanno percorso un cammino silenziosissimo, fatto di visioni, di corpi e di luce. La promessa, anche grazie a quel monumento drammaturgico che è il Giardino dei ciliegi, resta quindi un affresco pieno di vita e di magia, uno spettacolo tutto da scoprire.

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3. La Ballata di Woizzecco di AstorriTintinelli al Teatro della Contraddizione

Di classico in classico, è la volta del Woyzeck di Büchner. Ovviamente il testo in questione è molto diverso rispetto a drammaturgie europee più coerenti e organiche. Diciamolo pure: l’armonia non è proprio la caratteristica che contraddistingue l’opera – incompiuta – del drammaturgo tedesco e la rilettura di Alberto Astorri e Paola Tintinelli non ha certo lo scopo di chiarire e semplificare. Quella del duo milanese, anzi, si configura come una “rilettura alla seconda”, visto che riprende la ballata portata in scena dai due attori sette anni fa. In questo gioco di rimaneggiamenti, le tinte pessimiste di Büchner si fanno ancora più oscure: la miseria di questo Woizzecco, se possibile, sembra andare addirittura oltre quella dell’originale, grazie anche a una scenografia piena di fantasmi contemporanei. La giostra da baraccone su cui si riavvolge la ballata, costringe il protagonista a una spoliazione assoluta, a dichiarare la propria disperazione dentro la risata più amara e il vuoto di una vicenda ormai iscritta nella sua stessa carne. Una “r-esistenza” che ha un solo colore: il nero.

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Riccardo Corcione