“Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”.
Siamo in Liguria, nelle serre di Terraalta ad Albenga: all’ingresso nei capannoni gremiti di piante aromatiche, adibiti a sale teatrali per Terreni Creativi, la celeberrima frase del cantautore genovese sembra risuonare da ogni angolo. È Alessandra Fabbri, in tuta, ad accogliere il pubblico in uno spazio vuoto dove alcuni secchi d’acqua, argilla, cerone, uno specchio, e qualche ramoscello secco compongono la scenografia del primo spettacolo della serata: Mangiare e bere. Letame e morte, nato nel 2013 dalla collaborazione tra Davide Iodice e la danz-attrice.

Alessandra mi racconta che lo spettacolo, definito un “poemetto fisico” dal regista napoletano, si è sviluppato partendo dalla sua esperienza personale. “Davide ha scoperto che io vivo in campagna, e ho anche molti animali. Ho iniziato a raccontargli alcune storie della mia infanzia e altre di conoscenti e amici, tutte legate al rapporto tra uomo e natura, tra essere umano e altri esseri viventi. È così che lo spettacolo ha iniziato a prendere forma”. Iodice ha da sempre nutrito un forte interesse per l’etologia e lo studio, costruito per Alessandra Fabbri, mostra con immagini liriche i comportamenti di un mondo “bestiale”, di cui anche noi uomini, consapevolmente o meno, facciamo parte.

“Voglio raccontarvi una storia”, è così che inizia Mangiare e bere. Letame e morte. In una serra reale, illuminati dal sole del tramonto, seduti per terra o su sacchi di terriccio e in gradinate composte da pallet, gli spettatori sperimentano una relazione di estrema vicinanza con la performer. Non c’è l’oscurità della scena teatrale a nascondere gli sguardi: c’è una luce calda, il profumo di menta, timo, rosmarino, l’odore della terra. Lei racconta del suo giardino, di una coppia di pappagalli australiani come novelli Adamo ed Eva, del suo gatto che lecca le lacrime se sente piangere, di un topolino innamorato della sua amica umana. Sospinta dal topo creato con una mano sotto la maglietta Alessandra inizia a danzare alle note di Esmerine e la sua voce registrata a raccontare di un altro animale, l’animale da palcoscenico. Si trasforma così in un essere che vive alla ricerca dell’approvazione del pubblico, in un animale ibrido, multiforme, maschile e femminile, dal pene di creta o dal naso in argilla, un Cyrano alla Guccini che pare sussurrare “tenetevi le ghiande, lasciatemi le ali”.

La danza della Fabbri si fa sbavata, incerta sulle punte, tremante, si interroga sull’essere attore, accoglie in sé ogni mostro sacro della scena, ogni animale da palcoscenico: dal ballerino basso che vuole mostrarsi alto, all’attore ormai fallito che, ubriaco, non riesce a capire dove siano le quinte, fino all’evocazione di Martha Graham, ormai esclusa dal palco e alcolista. Il rito si fa sacrale, l’odore acre del vino versato addosso richiama Dioniso, attraverso il mondo bestiale viene svelata l’anima da bestia del pubblico. Quel pubblico che è motore di ogni azione per il performer, quel pubblico che è desideroso di vedere fin dove può spingere l’attore, quel pubblico assetato di extra-ordinario, che si fa aguzzino, carnefice, quel pubblico che è composto da individui e, dunque, che rappresenta l’essere umano.
La duplicità della nostra anima si svela: siamo bestie e angeli al contempo, possiamo toccarla e, prendendo coscienza del nostro ruolo di uomini, danzare un ultimo ballo con lei.

Camilla Fava

 

Mangiare e bere. Letame e morte
con Alessandra Fabbri
Coreografia Alessandra Fabbri e Davide Iodice
Drammaturgia, spazio scenico, luci e regia Davide Iodice
Produzione Interno5

Visto a Terreni Creativi nelle serre di Terraalta il 06/08/2017