diretto e interpretato da Enrico Ballardini, Giulia D’Imperio, Davide Gorla
visto al Crt Salone di MIlano, 18-23 Dicembre 2012.
Si erano fatti notare al Premio Scenario 2009 Enrico Ballardini, Giulia D’Imperio e Davide Gorla, alias Odemà: A Tua immagine, tagliente gioco semi-serio sul rapporto tra uomo e dio, aveva convinto e divertito.
Dopo il debutto a Kilowatt (che firma la co-produzione), arriva al Crt di Milano il nuovo atteso lavoro del promettente trio: ideato come seconda parte di una trilogia, Mea culpa riafferma il legame con José Saramago, fonte di ispirazione anche del primo capitolo.
I temi affrontati nelle due creazioni rimandano a una riflessione unitaria e coerente: il rapporto tra l’essere umano e ciò che è più grande di lui, la divinità e la giustizia. Lo sguardo è il medesimo: irriverente, ironico, leggero in rapporto alla vastità e al peso specifico del tema. Anche in questo caso, il linguaggio di Odemà sfronda il superfluo: pochi oggetti dal forte coefficiente simbolico – una scala rossa, un bidone, una sedia – e personaggi metafisici che offrono uno scontro di idee più che di personalità. Ci sono Caino, Abele, e un Altissimo Giudice che si appella a una giuria. Ma niente è fermo: giudicante e giudicato si alternano di continuo, le alleanze sono instabili, l’autorità è tutta da mettere in discussione e l’idea stessa di colpa si mostra scivolosa e impalpabile.
I riferimenti e i codici si mescolano e si fondono: da Il vecchio frac di Domenico Mudugno, al Gian Maria Volonté di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto fino alla Divina Commedia che campeggia nelle note di regia ed emerge nel chiaroscuro del testo. Ma è soprattutto un teatro popolare, quello di Odemà: un teatro che cerca il pubblico e al pubblico si rivolge. I tre attori – che confermano il sorprendente potenziale empatico emerso nel lavoro precendente – sono visibilmente concentrati in questo (sano) sforzo di comunicazione: attingono con sapienza da un patrimonio secolare di cabaret, clownerie, avanspettacolo.
A incepparli, di tanto in tanto, sembra essere un testo impervio e di discontinua efficacia. L’ostacolo è in parte realizzato ad hoc: nel programma di sala si legge che “le parole, attraverso la forma con cui vengono pronunciate, edificano la prigione dalla quale è impossibile scappare”. Ma a rimanere ‘rinchiuso’ rischia di essere lo spettacolo, che pare smarrirsi nelle spire di ponderazioni metafisiche a tratti troppo ambiziose e che alterna piccole folgorazioni, momenti riusciti e risacche.
Il gruppo rivendica con consapevolezza (per esempio nell’intervista su ateatro) l’importanza di un processo creativo autonomo e totale: dalla drammaturgia all’originale linguaggio attorale, dalla regia ‘trina’, fino dalla partitura musicale. Eppure si avverte la necessità – nello sviluppo di un percorso senz’altro promettente – di uno sguardo esterno capace di limare qua e là, senza snaturare il carisma dei tre convincenti performer.
Maddalena Giovannelli