Entrate in un bar qualunque, a Tirana, e iniziate una conversazione in italiano. Scoprirete che molti dei vostri interlocutori vi comprendono perfettamente, e che le loro risposte rivelano una ottima conoscenza linguistica. Se avete tempo, provate a domandarne le ragioni: qualcuno vi risponderà che ha imparato l’italiano guardando i programmi Fininvest e poi Mediaset quando imperversava l’ubriacatura liberista post Hoxha. Qualcun altro vi rivelerà che ha vissuto a lungo in Italia, lavorando più o meno legalmente nel nostro paese.
Non è raro, girando per l’Albania, imbattersi in questo fenomeno di ‘ritorno’: i migranti che affollavano il nostro immaginario anni Novanta, tra navi sovraffollate e clandestinità, sono tornati a casa. Oggi –  con altri flussi e altre emergenze che invadono media e centri di accoglienza – ritornare con il pensiero a quegli anni induce a riflettere su quanto rapidamente i ruoli e i processi di integrazione si trasformano: la rotta si inverte, l’Albania diventa luogo di turismo, e sono spesso gli italiani a percorrere a ritroso quella strada che per molti migranti è stata un’odissea.
I rapporti tra i due paesi, così come la lacerazione di chi lascia la propria terra per costruire una relazione sempre fragile con un nuovo paese, sono stati al centro di alcuni lavori teatrali degli ultimi tempi: tra questi Albania casa mia di e con Aleksandros Memetaj, per la regia Giampiero Rappa, e Lireta a chi viene dal mare scritto e diretto da Mario Perrotta.

L’Albania, grazie alla sua capacità di cambiare radicalmente identità agli occhi dell’Italia, sembra dunque configurarsi come una perfetta ‘zona franca’ per riflettere e analizzare i fenomeni che abbiamo ancora sotto gli occhi. Per questo motivo pare particolarmente interessante la scelta di porre al centro della diciottesima Biennale dei Giovani Artisti d’Europa e del Mediterraneo proprio l’Albania. La manifestazione, che si è svolta nei primi giorni dello scorso maggio tra Tirana e Durazzo, ha una particolare vocazione per le arti visive, e per il dialogo tra diverse discipline. Il progetto ha preso le mosse a Bari lo scorso 3 di maggio, in un’anteprima realizzata dal Teatro Pubblico Pugliese e promossa dalla Regione Puglia, Ministero della Cultura del Governo Albanese in collaborazione con il Comune di Bari.

 

Al Teatro Kismet, in quell’occasione, il protagonista è stato il Mediterraneo, rappresentato in due prospettive speculari. Juan Sandoval e Michelangelo Pistoletto (di cui proprio in questi giorni alcune indiscrezioni annunciano una prossima maxi-opera sul lago d’Iseo) hanno presentato Mar Mediterraneo – Sedie Love Difference: sessanta sedie che, accostate, tracciano il profilo del mare nostrum. Cantieri Teatrali Koreja ha invece riallestito per l’occasione lo spettacolo Katër I Radës. Il Naufragio diretto da Salvatore Tramacere, prodotto nel 2014 dalla Biennale Musica.
Entrambe le opere pongono al centro il portato simbolico e metaforico del Mediterraneo, e la sua ambivalente oscillazione: da un lato culla della civiltà occidentale e luogo di scambio e di ospitalità (così nell’opera di Sandoval-Pistoletto dai limpidi e accesi colori) dall’altro cimitero-mare, che inghiotte e seppellisce i viaggiatori (nello spettacolo cupo di Koreja). A fornire il punto di partenza per Katër I Radës è il romanzo-reportage di Alessandro Leogrande, che racconta il naufragio di una piccola motovedetta albanese avvenuto nel 1997 nelle acque canale d’Otranto, interrogandosi sulle responsabilità della Marina italiana.

Ma nello spettacolo di Koreja la cronaca si trasfigura, per diventare archetipo degli infiniti naufragi di cui siamo testimoni: così è nato un libretto d’opera bilingue, curato dallo stesso Leogrande in collaborazione con il musicista albanese Admir Shkurtaj. La partitura musicale, densa di dissonanze, tesse un ambiente emotivo capace di trascinare lo spettatore nelle angosce dei naufraghi, nelle loro speranze alla deriva; e allo stesso tempo la presenza viva dei corpi dei performer –  stretti su una piattaforma lignea che viene strattonata, e di cui non hanno il controllo – innesca un inevitabile processo empatico. La zattera portata in scena da Koreja sembra richiamare un naufragio ben più antico: quello di Odisseo, che dall’isola di Calipso parte e approderà, irriconoscibile per le sofferenze subite, alla terra dei Feaci. Quell’Odissea che siamo concordi nel considerare patrimonio comune, ci insegna anche che il Mediterraneo è, fin dalle origini, culla di viaggi che non conoscono alternativa.

“Finché i legni saranno saldi nelle loro giunture,
resterò ancora qui e, pur soffrendo, resisterò;
quando poi l’onda mi sfascerà del tutto la barca,
nuoterò, perché non c’è un piano migliore”.
(Od. V,361-364)

Maddalena Giovannelli


Abbiamo parlato di:

Mediterranea 18 Young Artists Biennale
a cura di
BJEM-Biennale des jeunes créatures de l’Europe et de la Méditerranée
3-9 maggio 2017, Bari – Durazzo – Tirana

Mar Mediterraneo – Sedie Love Difference
di Michelangelo Pistoletto e Juan Sandoval

Katër I Radës
musica Admir Shkurtaj
libretto Alessandro Leogrande
regia Salvatore Tramacere

Letture consigliate:

S. Fornaro, Attraverso il Mediterraneo, alcune riflessioni in “Forum Classici Contro”.