Un festival che offre percorsi di formazione gratuita nel pieno centro della città di Milano, una collettività riunita intorno allo scambio di pratiche artistiche, un’occasione di incontro professionale e umano.
Il festival Hors negli anni ha saputo cambiare pelle: nato nel 2018 come vetrina per artisti indipendenti, una casa per giovani compagnie che difficilmente avrebbero trovato spazio nelle programmazioni più istituzionali, da qualche anno ha mutato modalità di svolgimento e obiettivi. Il cartellone composto da spettacoli di giovani artisti e artiste ha continuato a essere un elemento fondante, ma il focus, negli ultimi tre anni, si è spostato sulla proposta di percorsi di formazione gratuita rivolti a professionisti under 35. I due direttori artistici Stefano Cordella e Filippo Renda hanno invitato alcune interessanti voci della scena contemporanea ad assumersi la responsabilità della trasmissione; tra gli altri hanno partecipato, negli anni, Frigoproduzioni, Nina’s Drag Queen, Teatro dei Gordi, Eco di Fondo. L’ultima edizione, intitolata Nostalgia futura, si è articolata intorno a quattro laboratori, due condotti dagli stessi Cordella e Renda; gli altri invece sono stati guidati da Ksenija Martinovic e Caterina Filograno, attrici e personalità autoriali che si sono sperimentate, nel tempo, nei diversi ruoli della scena.
Stratagemmi accompagna dalla sua nascita Hors, provando ad osservare e raccontare quanto accade negli spazi del Teatro Litta in occasione degli spettacoli e dei laboratori che animano le giornate del festival. Nell’edizione appena conclusa, la nostra redazione ha contribuito a coordinare alcuni spazi di confronto tra i partecipanti, nel tentativo di trasformare il momento di formazione in un’agorà di discussione pubblica. Il tema di riflessione, in particolare, è stato il profondo mutamento dei contesti e dei metodi della trasmissione, la messa in crisi della figura ‘patriarcale’ del Maestro, e il ruolo generativo che possono avere i diversi contesti (anche, o forse soprattutto, quelli meno istituzionali). Cosa è emerso? Quali questioni sembrano più urgenti, più sentite e irriducibili? Ecco alcune parole-chiave che possono, in parte, rendere conto del flusso della discussione e dei picchi di interesse che ha generato.
Gerarchia mobile. La figura del Grande Maestro Novecentesco, inteso come personalità autocratica che attua un’impostazione verticistica di relazioni professionali e di apprendimento unidirezionale, sembra spazzata via dalla storia e dai nuovi contesti. Si fa spazio, nelle nuove possibili fisionomie, una modalità più aperta e orizzontale, con un ruolo di guida variabile a seconda delle esigenze, dei tempi, e delle competenze specifiche: nelle fasi alterne di un processo artistico condiviso, chi traina per una parte del viaggio può poi mettersi da parte per lasciare spazio a suggestioni, metodi e orientamenti alternativi. Tacere, passare il microfono ad altri, mettersi in ascolto. Nessuna nostalgia del passato, dunque, in questo nuovo orizzonte fluido e a-gerarchico? In realtà i nomi dei maestri incontrati nel percorso si rincorrono, come un eco, nel cerchio dei partecipanti con sfumature di gratitudine e ammirazione. A testimonianza di quanto la questione resti aperta e problematica, divisa tra rimpianti e volontà di superamento.
(Mancanza di) tempo. Da Wielopole a Pontedera, da Holstebro a Santacristina. Le grandi fucine dei Maestri della sperimentazione, storicamente, sono sempre stati luoghi di lunga permanenza: spazi dove esplorare la relazione maestro-attore in una modalità di lavoro tesa all’approfondimento, in uno scavo minuzioso in tutte le fasi del processo creativo, prendendosi il tempo necessario per portare il lavoro a una forma compiuta. È ancora possibile tutto questo? La riduzione delle giornate di prova, le corte teniture degli spettacoli, la necessità di muoversi continuamente da un progetto artistico a un altro battono il ritmo di un metronomo schizofrenico. Forse incompatibile con la trasmissione delle pratiche e la loro sedimentazione.
Identità artistica. A guardare dalle finestre delle accademie, quale panorama si sbircia fuori? Gli artisti e le compagnie che hanno animato la scena dell’ultimo decennio (alcuni di questi sono stati anche invitati a Hors, per condividere le loro ricerche) hanno lasciato emergere una nuova idea di autorialità, declinata attraverso lo sviluppo di modalità di lavoro collettive, plurali, oppure portata avanti mediante un processo creativo individuale ma sempre nutrito dallo scambio osmotico con l’altro. In questi processi di collaborazione orizzontale, ecco che il maestro può diventare il collega o la collega, qualcuno con cui si condivide una parte del percorso creativo e dal quale si impara sul campo. Una forma di trasmissione tra pari che non rinuncia a due degli ingredienti fondamentali per ogni scambio: la responsabilità e la cura.
Alice Strazzi
in copertina: foto di Luca Del Pia