di Éric-Emmanuel Schmitt
regia di Valerio Binasco
visto al Teatro Franco Parenti di Milano_ 6-17 novembre 2013
Non è che Freud non creda in Dio, è che ha combattuto tutta la vita per non crederci.
Con simili paradossi un giovane barbuto, sedicente Dio – appollaiato con aria irriverente sulla sedia dello psichiatra – riesce a instillare il dubbio nella coscienza incrollabilmente atea di Sigmund Freud. Un incontro impossibile, una diatriba tra massimi sofisti, profondi conoscitori del potere persuasivo della parola, si svolge sul palco del Teatro Franco Parenti di Milano.
Siamo a Vienna. Sono due le visite che Freud (Alessandro Haber) riceve nella stessa sera: la prima, assolutamente indesiderata, di un ufficiale della Gestapo (Francesco Bonomo) che arresta l’unica figlia rimastagli accanto, Anna (Nicoletta Robello Bracciforti); la seconda, non meno inaspettata, di Dio in persona (Alessio Boni).
Freud, vecchio e malato, ostinato nel non voler cedere al ricatto della fuga, non è immune da una crisi interiore profonda che si risolve in una seduta con l’Altissimo. Ne nasce un gioco linguistico sottile, a tratti divertente, che sposta l’attenzione dalla contingenza a dissertazioni e dubbi dal carattere esistenziale, fino al paradosso per cui, quando Dio pone il sospetto di essere nient’altro che un pazzo bisognoso di cure, è Freud stesso, ormai imbrigliato in un umanissimo bisogno di credere, a convincerlo di essere Lui.
Il testo, opera dell’acclamato drammaturgo francese Éric-Emmanuel Schmitt, maestro dell’approfondimento psicologico di personaggi storici, è una bella partitura: non cerca sperimentazioni formali ma racconta, con grande acutezza, una storia universale ed eloquente capace di conquistare un pubblico ampio e vario.
La regia di Valerio Binasco quasi scompare dietro alla forza del testo e al talento del duo Haber-Boni, affiatato ed efficace. L’impianto della messinscena è del tutto tradizionale e la scenografia cede al descrittivo (l’appartamento di Freud è riprodotto con stilemi da set cinematografico), ma il pubblico, che riempie completamente la platea, assiste attento per quasi due ore allo scambio serrato di battute tra i due, parteggiando a turno per l’uno e l’altro, fino a quando, nell’estremo tentativo di avere una risposta, Freud spara al suo antagonista. “L’ho mancato” dice. Su questa battuta, che sancisce l’insanabilità del dubbio iniziale, si conclude la pièce.
In lontananza i passi ritmati dei nazisti che marciano in città.
Camilla Lietti