È tempo di bilanci per il festival, che in questi giorni di settembre ripropone al pubblico della capitale i maggiori successi di botteghino registrati a Epidauro. La sorpresa dell’edizione 2016 infatti è il grande exploit del teatro antico, con molte serate sold out. Meno frequentati invece gli spettacoli di giugno-luglio nei teatri di Atene, la sezione che di solito si configura come vetrina di novità greche e straniere.

Dopo lo scandalo-Jan Fabre (qui l’articolo uscito su Stratagemmi), molti temevano addirittura la chiusura di questo importante appuntamento estivo o la diserzione da parte del pubblico, ma il direttore artistico Vanghelis Theodoròpoulos ha preso in mano la situazione e, pur con un occhio sempre attento ai cordoni della borsa, si è inventato in tempi rapidi un programma di rilievo.

Parola-chiave del festival: attenzione al pubblico, a partire dall’inedito format di conferenza-riflessione condivisa dal titolo Che festival vogliamo?, “un laboratorio di idee proiettato in un’ottica internazionale e una via per promuovere gli spettacoli greci; una piattaforma di dialogo e di ricerca fra le arti, in nome della libertà creativa”. Non solo, l’incontro, svoltosi il 22 giugno, è stato anche un’occasione per intercettare richieste e bisogni dal basso e tracciare un progetto adatto anche alle prossime rassegne. Fra i relatori (critici teatrali, accademici e registi), Matthias van Hartz, (ex-direttore del Festival internazionale estivo di Amburgo e del centro artistico-culturale Berliner Festspiele) che, nelle vesti di consulente per i contatti con l’estero, si è rivelato propositivo, dinamico e sensibile alle proposte dei colleghi. Per ragioni organizzative non è stato possibile, come nelle passate edizioni, accogliere ospiti stranieri totalmente nuovi al pubblico greco; si è preferito optare per il ritorno di artisti già noti, che hanno portato i loro ultimi lavori (per esempio Rodrigo García con il suo spettacolo 4 e Romeo Castellucci con Giulio Cesare. Pezzi staccati).

Sebbene il festival sia privo di sezioni tematiche, si riconosce per le presenze straniere un evidente filo rosso. Pur nella varietà di registri (dalla coralità multietnica al teatro-documento, fino alla rilettura dell’opera lirica), le opere hanno tracciato una mappa geopolitica degli hotspot della memoria collettiva.

Fra i registi più attesi, lo svizzero Milo Rau, fondatore dell’International Institute of Political Murder. Lo scorso anno ad Atene aveva colpito con il suo Hate Radio sui crimini in Rwanda; ora presenta la seconda parte della Trilogia sull’Europa, dal titolo eloquente The Dark Ages: gli anni bui non sono il Medioevo, bensì la barbarie della storia recente. Attraverso la forma del re-enactment, cioè la ricostruzione documentata di eventi cruciali del nostro tempo, Rau si chiede: su quali fondamenta è costruita l’Europa di oggi? Cosa è cambiato dal crollo del Terzo Reich all’assedio di Sarajevo degli anni Novanta? Sulla scena quattro attori di diverse nazionalità (Germania, Kazakistan, Serbia e Bosnia) recitano se stessi: biografie segnate da guerra, atrocità, esilio e dolore dello sradicamento. Il vissuto reale confluisce nel teatro senza il filtro della finzione, perché qui l’attore è soltanto un medium per raccontare il vero. Le dure testimonianze e le vite dei singoli creano un affresco allegorico di un’Europa sempre più traballante nella sua fisionomia unitaria.

Anche nella sua ultima fatica, Minefield (debutto a Londra, LIFT festival 2016), l’argentina Lola Arias applica le forme del teatro-documento, lavorando sulla memoria e sulle lacerazioni della storia. Sei performers (tre argentini, due inglesi e un nepalese), veterani del conflitto per le isole Falkland-Malvine (1982), raccontano la loro guerra e il dramma di una gioventù spensierata uccisa per sempre. Il “campo minato” del titolo non è solo quello che riduce i corpi a brandelli, ma è anche metafora delle ferite insanabili della memoria, pronta a esplodere nella crudezza di ferite mai rimarginate. Come sottolinea Ghiorgos Pefanis, “nel caso della Arias la memoria-del-teatro (quella che il teatro sa accendere) e il teatro-della-memoria (la memoria che si fa azione performativa) si intrecciano a formare una poetica che oscilla fra estetica ed etica, possibile e reale”(“CNN Greece”, 09.07.2016).

La tragedia del Congo è lo scenario comune di due allestimenti diversi. Il sudafricano Brett Bailey ambienta la sua personalissima rilettura del Macbeth verdiano (in scena anche al Festival di Napoli 2016) non in Scozia, ma nel Congo dei nostri giorni, straziato dalla guerra civile: un adattamento spiazzante, che mescola il dramma alle atrocità dell’oggi, la lirica a ritmi africani, toni grotteschi e pop.
Il collettivo multietnico Diasporà (attori di origini africane e mediorientali che vivono in Grecia) ha invece portato in scena il testo Ruined (premio Pulitzer per la drammaturgia 2009) dell’americana Lynn Nottage. Il lavoro, scaturito da testimonianze e interviste, si concentra sulla piaga dello stupro di gruppo contro le donne, praticato da entrambi gli schieramenti congolesi. Mama, una moderna Madre Coraggio, strappa dalla strada e dall’emarginazione le donne violentate e le porta nel suo bar-bordello, una sorta di micro-stato dove è lei a dettare legge anche sugli uomini in una disperata lotta di emancipazione. Un mix di video, musica e soprattutto linguaggio corporeo per “dire” la violenza e le emozioni e forse aprire uno spiraglio di speranza.

Parlando dell’impostazione generale del festival, Theodoròpoulos ha più volte sottolineato l’impossibilità, in tempi così ristretti, di dare un’impronta univoca. Ha operato quindi nell’ottica di aprire nuclei di potenziale interesse per sviluppi futuri. Un festival per certi aspetti “politico”, ma anche attento ai giovani e alle registe donne (ad esempio per quanto riguarda la sezione shakespeariana del programma), come pure a testi mai rappresentati prima in Grecia. Un unicum in questo senso è il dramma pastorale Aminta di Torquato Tasso, nella versione greca (ampliata e rimaneggiata) data alle stampe nel 1745 a Venezia. Dopo lunghe ricerche d’archivio, Spyros Evanghelatos, grande studioso oltre che stimato regista, ha scoperto che l’autore anonimo del rimaneggiamento è Ghiorgos Mòrmoris (1720-1790), filosofo-scienziato di Citera. Evanghelatos ha scelto così di presentare al pubblico del festival una ricostruzione filologica che è insieme anche sfida estetico-teatrale.

A superare ogni attesa, come si è detto, è stato il secondo cuore pulsante del festival, cioè la sezione del dramma antico a Epidauro. Certo, il periodo coincide con le ferie e molti preferiscono gli spettacoli all’aperto, fra l’altro nello scenario splendido del sito archeologico, rispetto alle sale tradizionali di Atene. È interessante però rilevare alcune strategie vincenti, messe in atto per far presa sul pubblico.

Ad esempio, ha funzionato la modalità già sperimentata negli scorsi anni dell’appuntamento in metropolitana. Nelle viscere di Atene, passeggeri e curiosi hanno potuto assistere a brevi assaggi degli spettacoli: memorabile la corsa sulle scale mobili di Cinesia, che stringeva in mano un fallo ed era messo alla berlina dal Coro di Lisistrata, come pure la solennità inquietante degli attori russi del Teatro Vakhtangov (Edipo re).

L’affluenza straordinaria è stata inoltre favorita da iniziative concrete: spazio-gioco e laboratori creativi gratuiti per i bambini durante gli spettacoli; raddoppiate le navette serali Atene-Epidauro, a prezzi calmierati; negli autobus, giovani esperti di teatro offrivano notizie orientative sullo spettacolo (all’andata) e discussione critica (al ritorno).

L’attrattiva maggiore è stata sicuramente la qualità dell’offerta, che ha puntato sulla freschezza di approccio ai capolavori di Eschilo e di Sofocle (Eschilo: specchio di ieri e di oggi e Insieme per Sofocle: Antigone e Edipo Re). Anche se il 2016 sarà probabilmente ricordato come il “festival di un nuovo Aristofane”. Un anticipo ateniese si è avuto con la Aristofaniade (compagnia IDEA, per cui si veda la nostra segnalazione), una riuscita fantasmagoria intertestuale: Aristofane, giunto nell’Ade, ottiene eccezionalmente di poter ritornare in vita, purché riesca a far ridere i morti. Con un improvvisato tiaso di defunti, il commediografo si ingegna per ripetere alla bell’e meglio le scene salienti di tutti i suoi successi, con effetti esilaranti ma anche delicati. Ricordiamo poi l’esperimento imperfetto ma seducente degli Uccelli di Karathanos, una girandola di effetti, colori, movimenti e idee sceniche intorno all’isola dell’utopia. Tuttavia i maggiori consensi, anche durante la lunga tournée estiva, sono stati per la Lisistrata di Marmarinòs, una rilettura post-moderna ma fedele, che, a giudizio di molti, segna un punto di svolta nella ricezione aristofanea sulla scena contemporanea.

Gilda Tentorio

Giulio Cesare. Pezzi staccati
di Romeo Castellucci-Socìetas Raffaello Sanzio
17-20 giugno 2016

Minefield
di Lola Arias
28-29 giugno 2016

4
di Rodrigo García
4-5 luglio 2016

Aminta
di Torquato Tasso (versione G. Mòrmoris), regia di Spyros Evanghelatos
8 luglio 2016

Ruined
di Lynn Nottage, regia di Dennis Hilton-Reid e Ghioula Bountali
10-11 luglio 2016

Aristofaniade
di Compagnia IDEA e Teatro Regionale di Creta
11 luglio 2016

Macbeth
di Giuseppe Verdi, regia di Brett Bailey
22-23 luglio 2016

The Dark Ages
di Milo Rau
25-26 luglio 2016